“Per ripensare l’impegno culturale di Cataldo Naro”, in Canta, Rizza (a cura), Non facciamo come lo struzzo. L’impegno intellettuale di Cataldo Naro tra ricerca storica, analisi sociologica e ripensamento della prassi, Sciascia, Caltanissetta-Roma, 2009, pp. 209-29.

Roberto Cipriani


Le anime buone


sono così poche


che non si dimenticano.


(Bertolt Brecht, L’anima buona di Sezuan, 1938-40)


Premessa


“Mio fratello”: queste parole, sovente pronunciate da don Massimo Naro, sono accompagnate da un páthos che l’interlocutore non può non cogliere. In esse, al di là del riferimento familiare (medesima genitorialità e medesima educazione), c’è un indicatore di legame che è sacerdotale ed intellettuale insieme, di condivisione di ansie ed aneliti, di compartecipazione ecclesiale ed intellettuale. Ma certamente la prospettiva religiosa è quella prevalente ed informa di sé anche l’ottica conoscitiva e scientifica. Dunque una coppia di fratelli (con il primo che continua a parlare attraverso il secondo) che diventa anche metafora di un rapporto ideale tra fede e scienza, travalicando gli astrattismi di visioni teologiche scarsamente incarnate nella realtà. Ed appunto questa incarnazione del messaggio evangelico nella concretezza dell’agire quotidiano e prospettico (escatologico) diviene una cifra interpretativa per leggere l’una e l’altra vicenda umana, fra loro speculari, di don Massimo e di don Aldo. Tra i due quasi non v’è soluzione di continuità, tant’è che nella voce e nei tratti comportamentali di entrambi si resta esterrefatti tanto sono evidenti i richiami, le evocazioni, i ricordi. Mentre vengono scritte queste riflessioni, proprio in data 3 maggio, il pensiero va all’odierna celebrazione annuale dedicata al Santissimo Crocifisso del Santuario di Belici, oggetto di una ricerca sociologica [Canta, Cipriani, Turchini 1999] commissionata da don Cataldo Naro per conto del Centro Studi “A. Cammarata” di San Cataldo. L’idea gli venne dopo aver constatato la straordinaria partecipazione di popolo presso quel luogo sacro, dove si era recato su consiglio della madre che gli aveva detto di rivolgersi a lu Signuri di Bilìci per cercare di risolvere i suoi problemi di vista.


Se tutte le diocesi…


La frequentazione di don Aldo Naro, grazie alla mediazione dei colleghi universitari Carmelina Chiara Canta e Salvatore Rizza, è durata a lungo, dal 1988 [Cipriani 1992] e per oltre un decennio sino alla sua nomina ad Arcivescovo di Monreale, allorquando il dialogo si è svolto solo a livello epistolare e per intervalla del suo gravoso impegno pastorale. Durante quest’ultimo periodo l’incontro con lui è avvenuto due volte, senza però che egli se ne accorgesse: in occasione della sua consacrazione episcopale nel Duomo di Monreale e di un convegno in cui era relatore presso la Pontificia Università Lateranense. In entrambi i casi lo sguardo da lontano [Lévi-Strauss 1984] rivolto verso  di lui non faceva che confermare lo sguardo da vicino.


Cataldo Naro è stato sacerdote attento all’altro e studioso indagatore delle realtà ecclesiali locali e segnatamente dei testimoni religiosi e laici che hanno lasciato tracce significative nel loro territorio (“lo specifico ecclesiale locale è invece da ricercarsi nella tradizione propriamente spirituale e pastorale della Chiesa locale; riguarda appunto il ‘metodo’ di esperienza della fede e di annunzio del Vangelo che è stato elaborato da una comunità ecclesiale locale attraverso il succedersi delle generazioni che hanno vissuto la fede con l’aiuto interiore dello Spirito Santo, nello stesso ambito culturale e territoriale; si articola, perciò, nella spiritualità di cui sono state portatrici le figure più rappresentative del clero e del laicato locali” [Naro 1981: 2]).      


La sua sensibilità plurima, alle persone ed alla loro storia, ne ha fatto un esempio da imitare, un animatore religioso e culturale preparato e coraggioso. La mole delle attività intraprese, delle iniziative culturali organizzate, delle pubblicazioni curate in proprio od affidate ad altri, delle ricerche sul campo incentivate, lo ha fatto apprezzare ben oltre la sua regione. Intellettuali italiani di primo piano hanno frequentato più volte il Centro Studi “A. Cammarata” di San Cataldo, fucina di imprese religiose e scientifiche senza pari in altre diocesi italiane. Se queste ultime avessero dato vita ad almeno una minima parte di quanto avviato da don Naro il Progetto Culturale della Conferenza Episcopale Italiana avrebbe avuto ben altro respiro. Non a caso si è pensato opportuno convocare il sacerdote sancataldese a collaborare con l’Ufficio Nazionale del medesimo progetto a Roma.


Sarebbe utile ed interessante fare i conti con la poderosa produzione storico-religiosa di Cataldo Naro ed in particolare con le sue opere degli inizi [1977; 1981; 1984; 1986; 1989a; 1989b; 1989c; 1991a; 1991b; 1992a; 1992b; 1993a; 1993b; 1996; 1997a; 1997b]. Ma su queste ci saranno altre competenze ed altre conoscenze disciplinari e territoriali in grado di intervenire a ragion veduta. Qui invece ci si limita a tratteggiare la figura di Naro in chiave biografica e sostanzialmente autobiografica anche a partire da alcuni documenti personali, secondo una tradizione storico-sociologica ormai affermatasi da tempo anche in Italia.          


Fede e cultura


Alla scuola di Giacomo Martina, presso l’Università Gregoriana, don Cataldo si era imbevuto di metodo e rigore storico. Nella sequela di don Divo Barsotti e della sua “Comunità dei figli di Dio” aveva appreso la valenza di una visione mistica della vita e del servizio agli altri. E se da storico non mancava di usare strali critici nei riguardi di interpretazioni superficiali e poco documentate, da sacerdote e pastore accorto era in grado di discernere fra modelli pastorali adeguati o meno (valgano a questo proposito due esempi: la sua non condivisione della diffusa communis opinio valutativa in senso negativo nei riguardi delle espressioni di religiosità popolare e la sua rinuncia al ruolo di segretario del sinodo diocesano di Caltanissetta, avvenuta peraltro in forma discreta, garbata e senza manifestazioni plateali di dissenso).


Capace di citare correttamente ed a ragion veduta opere storiche e sociologiche di primaria rilevanza, don Naro era consapevole della “possibilità di integrare analisi sociologica e ricerca storica. Si tratta di due tipi di conoscenza con proprio statuto e con propri metodi, quindi reciprocamente autonomi” [Naro 1993b]. Pertanto “lo storico può verificare l’attendibilità e la coerenza interna della sua ricostruzione e interpretazione del passato nel confronto con gli esiti di quel passato quali osservati ed analizzati dal sociologo. E il sociologo può verificare la plausibilità della sua analisi ricorrendo ai dati offerti dalla conoscenza storica circa il medesimo oggetto della sua analisi” [Naro 1993b]. 


Don Aldo manteneva sempre un suo stile di correttezza e di rispetto ma ciò non gli impediva di lamentare umanamente qualche disattenzione, qualche eccesso, qualche caduta di tono. Più che nel muovere critiche pesanti ad alcuni preferiva rinviare all’esempio di altri: da monsignor Intrecciatagli (vescovo nisseno dal 1907 al 1921), soprannominato “intrecciacuori”, a monsignor Guttadauro (ordinario di Caltanissetta dal 1859 al 1896), vero “fondatore” della diocesi, istituita nel 1844.


L’atteggiamento aperturista connotava anche lo sguardo rivolto al di fuori dell’appartenenza di Chiesa. Così ad esempio non mostrava astio nei riguardi di sette e culti diversi dal cattolicesimo ed anzi invitava ad evitare crociate anti-sette. Infatti scriveva in proposito sul periodico La Voce di Campofranco, con debita cautela di studioso e pastore: “può darsi che ci sia qualcosa di vero nella tesi del complotto anticattolico, anche se va provato. Ma quel che bisogna evitare è attribuire il successo delle sette esclusivamente a fattori extraecclesiali. Ci saranno pure dei movimenti intraecclesiali perché tanti cattolici si rivelano così fragili davanti al proselitismo delle sette! E sono motivi che certamente non si possono ricondurre tutti alla ‘confusione’ dottrinale che in campo cattolico si sarebbe insinuata nel post-concilio” [Naro 1991b].


Pure sul terreno più specificamente scientifico don Cataldo mostrava competenza e riscuoteva consensi. Basti citare l’esempio dell’illustre storico siciliano Francesco Renda, laico, marxista, non corrivo con il sacerdote di San Cataldo sul piano religioso, eppure così ben disposto nei suoi riguardi perché studioso serio ed anch’egli specialista di questioni isolane, sebbene su un altro versante. Ma forse la tendenziale sintonia fra Renda e Naro deriva dall’approccio di quest’ultimo al fenomeno mafioso, in particolare nel suo legame con il mondo cattolico. Di tale visione non allineata con le interpretazioni correnti in ambito ecclesiale don Cataldo Naro aveva dato prova in una conferenza sul tema “Religione e mafia” tenuta, su invito, presso la Facoltà di Scienze della Formazione nell’Università Roma Tre.


Non era poi un caso che il professor Alberto Maira e l’ingegner Stefano Diprima, tipici esponenti di una classe di intellettuali periferici molto attivi sul territorio nisseno ed altresì non certo ideologicamente omogenei fra loro, fossero entrambi molto legati a don Aldo e dessero il loro apporto alle sue attività culturali.


La tradizionale formula della revisione di vita si poteva di fatto declinare per Naro come leggere, discernere e rinnovare, passando dall’afflato spirituale alla passione scientifica e quindi all’impegno operativo pastorale. Detto altrimenti si trattava di coniugare insieme ricerca storica, analisi sociologica e ripensamento della prassi ministeriale.


Nella sua stessa San Cataldo don Naro non rinunciava a polemizzare con la locale Associazione Culturale “G. Amico Medico”, che nel 1996 aveva pubblicato un volumetto sulla pietà popolare, in polemica a sua volta con un altro testo pubblicato sullo stesso tema, oltre un anno prima, dal vicariato del medesimo comune. In realtà i parroci locali non avevano replicato e dunque don Aldo lo faceva quasi in loro vece e con uno stile non graffiante, anzi amicale: “la confusione in cui sembrano cadere i miei amici deriva da una complessità della concreta situazione. Il passato da cui veniamo – di stretta connessione ed anzi di fusione tra comunità ecclesiale e comunità civile – non è superato e continua in qualche modo a prolungarsi nel presente” [Naro 1997a: 12]. Inoltre “il passato cristiano è un patrimonio civile, cioè comune alla società tutta. Anche limitatamente a certe tradizioni di culto e di devozione popolari cristiane che si sono tramandate fino ad oggi nei Paesi di antica cristianità, si può dire che esse sono in qualche modo un patrimonio, oltre che della comunità ecclesiale, anche della comunità civile. E comunque credo che ciò possa dirsi di tante manifestazioni popolari natalizie o pasquali dei paesi della nostra diocesi. È un fatto che spesso esse sono sentite come un patrimonio di tutti. Tanto più che – come dimostrano indagini di sociologia religiosa condotte negli ultimi anni per l’area centrale della Sicilia (Cipriani, Berzano-Introvigne, Canta) – è ancora amplissima la percentuale della popolazione che si riconosce nella Chiesa, anche se frequenta raramente o niente affatto le celebrazioni liturgiche e ha credenze religiose e convinzioni etiche piuttosto lontane dall’insegnamento della Chiesa. È comprensibile che tanta gente, pur lontana dalla Chiesa e persino indifferente in materia religiosa, continui a vedere nelle manifestazioni di antica pietà popolare un legame con la propria infanzia religiosa o con la religione dei propri genitori e, in ogni caso, una testimonianza della storia culturale delle nostre comunità locali. Ritengo che i responsabili della guida della comunità ecclesiale non possano non tener conto di questa situazione. Essi – pur non abdicando alla propria responsabilità pastorale, anche nei confronti delle antiche manifestazioni della pietà popolare, che appartengono di pieno diritto alla comunità ecclesiale e perciò non vanno ‘cedute in gestione’ ad enti turistici ed associazioni pro-loco – debbono intervenire in questa materia con delicatezza ed anche con rispetto verso tutti, spiegando ampiamente il senso di eventuali disposizioni e innovazioni che intendono apportare. E del resto non si può ignorare che l’amore a queste antiche forme di devozione cristiane spesso rappresenta, almeno per certe fasce generazionali, un ponte di appartenenza alla Chiesa che non dev’essere disprezzato ma anzi valorizzato” [Naro 1997a: 13]. Una così lunga citazione si giustifica ampiamente con il fatto che in essa è contenuta una sorta di summa che coniuga insieme i risultati delle ricerche sociologiche con le esigenze pastorali del contesto territoriale. L’orientamento espresso è un punto di arrivo strategico, decisivo, anche se evidentemente non condiviso da tutti, neppure in ambito ecclesiale. Ma il profeta, lo studioso, l’analista meticoloso, è sovente in anticipo sui tempi ed in contraddizione con i suoi contemporanei. Egli va oltre le apparenze, si interroga sul futuro ed indica quale sia l’ottica corretta con cui guardare alla realtà presente ed alle sue radici “antiche” (aggettivo quest’ultimo assai ricorrente nel testo citato).       


Gli accenti critici


Cataldo Naro attingeva all’esempio ottocentesco di monsignor Guttadauro nel valutare la religiosità popolare come connessa con la catechesi: “per avere più chiaro il concetto di ‘canale tradizionale’ di trasmissione della fede si pensi che il catechismo pubblicato da mons. Guttadauro per la nostra diocesi, ancora negli anni ottanta dell’Ottocento, consisteva in una raccolta di preghiere e canti in dialetto: nessuna formula, solo preghiere da usare privatamente, in famiglia e in chiesa. ‘Le cose di Dio’ erano allora propriamente queste preghiere, cioè una concreta prassi di fede cristiana da trasmettere oralmente nei concreti ambiti di vita sociale: dalla famiglia al quartiere e alla parrocchia” [Naro 1989a]. Per Naro la questione è ben chiara: “la pietà popolare è propriamente il risultato dell’opera di evangelizzazione esercitata dalla Chiesa in un determinato tempo, in un determinato ambiente e in rapporto ad una determinata cultura” [Naro 1992b].


Successivamente, in previsione dell’arrivo del papa Giovanni Paolo II a Caltanissetta nel 1993, il sacerdote sancataldese arrivava anche ad ironizzare su un “gratuito ottimismo” in auge presso “certi ‘responsabili ecclesiastici’” e domandava retoricamente (ma forse provocatoriamente per i destinatari del messaggio): “perché non godersi, senza tante storie, questo bellissimo momento di ‘egemonia cattolica’? Per la Sicilia non c’è alcun problema: le cose vanno benissimo. Oh, se non ci fossero quei sanguinari mafiosi, profanatori del magnifico tempio di Dio che è la società siciliana! Se non fosse per loro, al papa che verrà in primavera si potrebbe presentare la Sicilia come un modello di società cristiana. Del resto – osservano gli ottimisti – le indagini sociologiche più recenti confermano queste ‘confortanti’ valutazioni sulla Sicilia. Basta citare i confortantissimi dati dell’indagine di Cipriani sulla diocesi di Caltanissetta (La religione dei valori, Caltanissetta 1992). È vero che Cipriani scrive che la religione istituzionale (cioè la Chiesa) ‘opera con una sorta di grimaldello, quello dei valori, per entrare in uno spazio [quello della società] che le sarebbe quasi del tutto negato’ (un’immagine – questa del grimaldello – che può essere utile anche per rendere efficacemente certa strategia ecclesiastica nella società secolarizzata). Ma in altra pagina del suo libro Cipriani scrive che la religione (quella istituzionale o quella ‘diffusa’ o solo quella ‘dei valori’?) ‘rimane un punto di riferimento valoriale, che sconfessa l’ipotesi di una secolarizzazione galoppante’. Dunque, si può trarre narcotizzante ‘conforto’ anche dall’indagine di Cipriani. Pessimismo o ottimismo? Sarebbe auspicabile semplicemente un sano, concreto, equilibrato realismo cristiano: il realismo di chi ha appreso la lezione evangelica del campo in cui crescono buon frumento e cattivo loglio, insieme, fino alla mietitura” [Naro 1993a].


Già in precedenza, invero, don Naro aveva preso di petto la questione della mafia, usando parole inequivocabili: “le comunità ecclesiali, in quanto tali e nel loro complesso, non sono state finora motivate ad esprimere un significativo impegno contro la mafia o anche solo a portare un qualche contributo alla resistenza alla mafia che si manifesta e si organizza nella società” [Naro 1992a]. Va ricordato poi che all’epoca era ancora in corso il sinodo nisseno, a proposito del quale egli osservava: “vi appare evidente che la Chiesa nissena sperimenta qualche difficoltà a fare un discorso argomentato sulla mafia. Di fronte al triste fenomeno che corrode come tarlo la nostra società, la Chiesa è sembrata finora senza parole. Meglio: senza parole ‘sue’, che cioè attingano al patrimonio della speranza da lei custodita e annunziata: quella del Vangelo” [Naro 1992a]. Inoltre, aggiungeva Naro, “pare che nella parte dell’analisi manchino attualmente due importanti elementi. Primo: un esame degli atteggiamenti assunti dalla Chiesa nissena nel passato di fronte alla mafia. Secondo: l’attenzione al rapporto politica-mafia” [Naro 1992a]. In particolare il sacerdote-studioso di San Cataldo se la prendeva con una “‘pastorale dello struzzo’. È il rischio, in altri termini, di affondare la testa nella sabbia per non vedere, quasi a difendersi dal ‘pericolo’ di dover mutare, in conseguenza del ‘vedere’, qualcosa nei propri metodi pastorali” [Naro 1989c]. Alla pastorale dello struzzo egli preferiva del resto una pastorale aperta socialmente, alla maniera di monsignor Sturzo, cioè sul modello del fratello vescovo del prete-politico-sociologo don Luigi Sturzo.  


Don Cataldo stigmatizzava altresì l’inefficacia dell’omiletica in uso: “basta esaminare i testi di tante prediche per accorgersi che si tratta di una banalizzazione frequentissima che accarezza le orecchie, ma finisce per tradire il Vangelo e, comunque, essere tutt’altro che trasmissione della fede” [Naro 1989a].        


In conclusione, se si dovesse tracciare un bilancio complessivo dell’azione nariana l’output sarebbe da considerare positivo sia per l’ampiezza degli interessi che per la numerosità e la qualità degli interventi effettuati (dalle pubblicazioni alla convegnistica, dalle ricerche ai bollettini informativi). Per ragioni di completezza, va pure ricordato che in alcuni momenti di maggior disagio, dapprima nella sua diocesi di origine e poi in quella di destinazione episcopale, egli aveva dovuto scalpitare – ma senza fur rumore – nei confronti di qualche vescovo di cui non condivideva le linee pastorali.


Spunti da un epistolario: studioso attento e pastore sensibile


Don Cataldo Naro amava scrivere ed amava scrivere a penna – anche nell’era del computer –, come molti sanno per esperienza personale in quanto destinatari di sue missive, autografe sin nella busta d’invio in cui il mittente era un semplice nome e cognome mentre il ricevente era qualificato con ogni attribuzione possibile in relazione allo status professionale ed alla carica istituzionale. Ed i contenuti delle lettere non erano mai futili né ripetitivi o di maniera. In fondo l’interlocutore veniva trattato al meglio, cioè come una persona nel senso pieno del termine. I messaggi partivano da un’occasione quasi sempre a sfondo culturale: segnalare una pubblicazione, inviare un libro od un articolo, allegare la copia di un documento d’archivio, fornire o chiedere indicazioni bibliografiche o copie di recensioni apparse su testi pubblicati o curati dal Centro Studi “A. Cammarata”, proporre un’indagine su una fenomenologia socio-religiosa, segnalare qualche difficoltà nell’avere “udienza” anche presso quotidiani e riviste di matrice cattolica, inviare la rivista Argomenti o il bollettino diocesano di Monreale, far pervenire le sue lettere pastorali (da Diamo un futuro alle nostre parrocchie ad Amiamo la nostra Chiesa).


In quella che è forse la prima missiva indirizzata al suo destinatario romano, don Cataldo con grande rispetto dà ancora del lei al ricevente, giudica “molto volante” una sua trattazione dedicata alla “figliolanza” (una sorta di documento-attestato che veniva dato a chi offriva un contributo a favore dell’azione dei francescani in Terrasanta). Tale ricevuta-diploma si riteneva potesse avere un carattere apotropaico, fosse in grado cioè di allontanare i mali naturali prodotti da una tempesta, dallo scoppio di un fulmine, magari da un terremoto. La “figliolanza” era posta in bella vista in casa o nei pressi della porta di accesso, se non proprio su di essa. Ma anche in questo contesto di religiosità popolare l’intellettuale rigoroso spunta fuori con tutto il suo profilo: si affida ad un documento storico, accenna poi ad altri suoi scritti sull’argomento (ma non li ricorda). Dunque l’estensore cerca comunque sostegni documentali per le sue affermazioni. Passando poi a trattare dell’inchiesta in corso sulla religiosità nel nisseno il mittente si preoccupa che i risultati dello studio giungano al più presto ai membri sinodali della diocesi di Caltanissetta. In altri termini, è chiaro il progetto perseguito: passare all’azione, od almeno ad una prima riflessione sui dati, proprio nell’ambito del sinodo diocesano (allora in corso di svolgimento e certamente un indicatore di modernizzazione secondo quanto suggerisce Diotallevi [1999]). Per di più gli utenti degli esiti della ricerca hanno da essere anche coloro che a vario titolo si interessano alla situazione religiosa locale, non solamente quindi i partecipanti all’evento sinodale. Infine, mentre per sé non pare porre particolare attenzione alle risorse finanziarie, si preoccupa molto di non creare difficoltà ai ricercatori, chiarendo esplicitamente che avrebbe provveduto di conseguenza in caso di necessità.


Ed ecco il testo della lettera:


San Cataldo 23-1-90


Caro Prof. Cipriani,


                l’accenno alla “figliolanza” o bolla della Santa Crociata nel mio volume è davvero molto volante (pag. 494 di Momenti e figure della Chiesa nissena dell’Otto e Novecento). Le allego alla presente fotocopia della relazione per la visita ad limina del 1871 di mons. Guttadauro, in cui si parla della bolla, come le ho detto stamani a telefono. Avrò scritto più diffusamente della cosa da qualche parte, ma in questo momento non ricordo dove.


                Penso che, quando le arriverà la presente, già da tempo i questionari dell’inchiesta saranno pervenuti a Milano. Sì, è vero che abbiamo preso molto più tempo del previsto ed abbiamo incontrato delle difficoltà; ma la pregherei, nella misura del possibile, di adoperarsi perché i risultati dell’inchiesta possano essere dati in mano ai partecipanti al sinodo e più in generale a quanti sono interessati al sinodo nisseno. Se è il caso di anticipare qualcosa in questa fase di elaborazione dei dati, me lo faccia sapere con grande libertà, scrivendomi o quando ci sentiamo a telefono.


                Cordialissimi saluti.


                                                                                                                                             Suo


                                                                                                                                             Cataldo Naro


Una cordialità costante


La lettera successiva è, se possibile, ancora più cordiale ed amichevole. Ormai don Cataldo dà del tu. Dopo i ringraziamenti per gli auguri di Pasqua e per una recensione, Naro chiede scusa per il ritardo nel rispondere (fatto non abituale per lui, solitamente tempestivo) e passa subito a trattare dell’ipotesi di un’indagine sui pellegrinaggi in area nissena, fenomenologia che lo colpisce particolarmente perché mette insieme sia l’esperienza contadina che altri tratti più moderni. Per questo ritiene opportuno porre in cantiere quanto necessario, anche economicamente, per la realizzazione dello studio empirico e saggiamente predispone una doppia tranche di finanziamento a carico del Centro Studi “A. Cammarata”. La somma prevista è rilevante e dovrebbe bastare, confidando anche nell’assenza di pretese da parte dei realizzatori. La parte finale presenta qualche amara considerazione sulla scarsa attenzione sia de “L’Osservatore Romano” sia di “Avvenire” nei riguardi di proposte di articoli sul volume relativo all’inchiesta sociologica dal titolo La religione dei valori [Cipriani 1992]. Ma don Cataldo non demorde e spera di poter pubblicare qualcosa in occasione del viaggio del papa a Caltanissetta: 


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                                                                                                                                                                                            7.4.93


Carissimo,


                ti ringrazio degli auguri pasquali e del testo della recensione che comparirà su “Annali di sociologia”.


                Ho da scusarmi per il lungo silenzio e per non aver prontamente risposto alla tua della fine di febbraio.


                Ti ringrazio per aver preso in considerazione la proposta dell’indagine sociologica sui pellegrinaggi nell’area nissena, in particolare a San Cataldo. E sono contento che abbia accettato di condurla, seppure non quest’anno. Resto convinto che si tratti di un tema-spia per un’analisi sociologica più vasta. Mi pare, però, che convenga legare nella stessa indagine le due modalità – la tradizionale e la moderna – di pellegrinaggio: sono distinte ma interagiscono nello stesso ambiente culturale e l’uno mi sembra base dell’altro. C’è un turismo religioso che si radica nella tradizione del pellegrinaggio contadino. Proprio in questi giorni di Pasqua un sodalizio di San Cataldo – la società operaia “M. Rizzo” – ha organizzato un pellegrinaggio dei suoi soci per San Giovanni Rotondo sulla tomba di p. Pio da Petralcina.


                Tengo molto a questa ricerca e troverò la somma necessaria. Farò mettere nel bilancio del Centro Cammarata per l’anno prossimo – cominciando ad accantonare la somma da quest’anno – un budget di 30 milioni che certo è insufficiente se si volesse una ricerca con rimborsi, ma che spero possa bastare, almeno in parte, conoscendo appunto lo spirito con cui conduci e guidi le ricerche.


                Gli articoli su “Avvenire” e “L’Osservatore” non sono più usciti. “L’Ossevatore” – che ebbi modo di sentire poco dopo il nostro incontro tramite Borzomati – non pubblica più cronache di convegni e presentazioni periferiche: si può solo tentare con recensioni sulla terza pagina. E l’“Avvenire”, scoraggiato, non l’ho più contattato. Mi dispiace di questa mancata segnalazione.


                Ho visto che Garelli ha segnalato il volume nella bibliografia finale di un suo articolo su “Incongruenza e differenziazione della religiosità in Italia” pubblicato nel volumetto “Chiesa in Italia” della rivista “Il Regno”.


                Se mi faranno scrivere un articolo – come spero e come tenterò – sulla venuta del Papa a Caltanissetta, nell’“Osservatore Romano”, inserirò la notizia della pubblicazione della ricerca e una sua breve sintesi.


                Sempre con viva gratitudine e sincero affetto


                                                                                                              Cataldo Naro


L’attenzione continua agli apporti culturali


Qualche tempo dopo don Cataldo fa cenno a recensioni estere del medesimo volume già citato, secondo notizie ricevute da Johan Leman, studioso belga, autore di un’indagine sulla presenza dei “Testimoni di Geova” nell’immigrazione dalla Sicilia al Belgio [Leman 1976; 1987; 1998]. Ecco il breve testo della lettera, qui di seguito:


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                                                                                                                                                                                            22.7.94


Carissimo,


                unisco la fotocopia di una lettera di Leman in cui dice di recensioni al tuo “La religione dei valori”. Sono recensioni su riviste estere? Se ne hai copia, potresti inviarmene fotocopia? Ti ringrazio. Mi dispiace che Leman non viene alla presentazione del volume di Introvigne-Berzano, ma lo coinvolgeremo per qualche altra occasione.


                Affettuosi saluti                 


                                                                                              Cataldo Naro


La lettera successiva accompagna l’invio delle bozze di un volume scritto da Massimo Introvigne e Luigi Berzano ed augura buone vacanze (in realtà si intravede una lettera effe cancellata; evidentemente era stata pensata in un primo momento la parola ferie, poi modificata in vacanze, espressione meno burocratica e più amichevole):


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                                                                                                                                                                                            30.7.94


Carissimo,


                ti invio le bozze del libro di Introvigne e Berzano che offrirà lo spunto del dibattito del seminario dell’1 ottobre prossimo. Spero di inviarti prima di quella data il libro confezionato. Ma per ogni eventualità, mi permetto inviartelo, per tempo, in bozze.


                Cordiali saluti e buone vacanze.


                                                                                              tuo


                                                                                  Cataldo Naro


Conoscenza scientifica e sensibilità pastorale


Anche nel messaggio che segue, l’autore si giustifica per un ritardo, assai breve questa volta, nel rispondere. La ragione è presto spiegata: ancora non c’è una data ufficiale per il pellegrinaggio dell’Unitalsi a Lourdes per il 1995. Ma intanto c’è già un’informazione ufficiosa relativa alla partenza alla fine di aprile ed al ritorno ai primi di maggio. L’idea coltivata è quella di un’osservazione sociologica partecipata nel corso del pellegrinaggio stesso.  


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                                                                                                                                                                            19.09.94


Carissimo,


                ho tardato qualche giorno a risponderti, perché ho dovuto perder tempo a informarmi per la data del pellegrinaggio. Di fatto l’organismo centrale di Roma dell’Unitalsi che decide le date non ha ancora deciso e non ha stilato il programma ufficiale dei pellegrinaggi 1995. Lo farà entro il prossimo mese di ottobre. Però ho saputo che con quasi certezza il pellegrinaggio siciliano di primavera – che comprende quello nisseno – sarà dal 22 aprile al 2 maggio. Dunque quasi in coincidenza col pellegrinaggio rurale di Marianopoli! Comunque potremo parlare della cosa – penso con elementi più solidi in mano – quando verrai qui tra due settimane: potremo parlare anche col presidente locale Unitalsi. Arrivederci. Cari saluti.


                                                                                                                                             Cataldo Naro


Il ventinove marzo del 1996 è don Cataldo per primo ad inviare i suoi auguri per la Pasqua, da estendere anche al coniuge del destinatario. Per l’occasione si danno alcune indicazioni operative e logistiche per la realizzazione della ricerca sul santuario di Bilìci. Non manca poi qualche informazione bibliografica, questa volta concernente i parroci della sua cittadina di San Cataldo, autori di un testo che sembra non molto tenero nei riguardi della “pietà popolare” ed invece fatto passare come ispirato al suo pensiero in materia. Don Naro non ne condivide invece lo spirito, piuttosto “dirigista”, cioè di visione dall’alto di una presunta superiorità. E si firma più familiarmente come Aldo, invece di Cataldo.


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                                                                                                                                                                            29.3.96


Caro Roberto,


                nell’imminenza delle festività pasquali desidero farti giungere gli auguri affettuosi e grati di buona Pasqua. Estendili anche ai tuoi, particolarmente a tua moglie, di cui ricordo sempre la grande e signorile gentilezza con cui mi ha accolto una volta venendo a casa tua.


                Sto cercando di trovare un allogio per la notte del 2 maggio nella stessa Marianopoli. Intanto ti indico il numero del telefono dell’autista che verrà a prenderti a Catania e che resterà a tua disposizione l’indomani, anche per riaccompagnarti poi all’aeroporto. Si chiama Amico e già altre volte ha fatto lo stesso servizio e quindi ti conosce bene. Il numero è questo: 0934/574626. Già è informato di tutto.


                A parte ti invio un opuscoletto che i parroci di San Cataldo hanno pubblicato, con l’approvazione del vescovo, sulla “pietà popolare”. Anche se dicono di essersi ispirato a qualche mio scritto in materia, di fatto lo trovo piuttosto distante dalla mia sensibilità, perché un po’ “dirigista” e perché non lascia trasparire una grande simpatia verso le manifestazioni tradizionali della pietà del popolo. Te lo invio semplicemente perché tu lo conosca, dal momento che ti occupi, a più titoli, del Nisseno.


                Ancora auguri e affettuosi saluti.


                                                                                              tuo


                                                                                              Aldo Naro


Il culto del Crocifisso


Quando Cataldo Naro diviene preside della Facoltà teologica di Sicilia l’epistolario non s’interrompe e continua a fornire notizie sul culto al Crocifisso in Sicilia, oggetto di un’indagine iniziata nel mese di maggio del 1994 ed allora in via di completamento [Canta, Cipriani, Turchini 1999], in relazione al pellegrinaggio al santuario del Crocifisso di Bilìci, su cui nel frattempo il parroco di Marianopoli ha pubblicato un volumetto. Sul medesimo pellegrinaggio i parroci della diocesi stanno rispondendo ad un questionario inviato dalla professoressa Carmelina Chiara Canta.  


Facoltà Teologica di Sicilia


“San Giovanni Evangelista”


                Il Preside


                                                                                                                                             26 luglio 1996


Caro Roberto,


rispondo con notevole ritardo alla tua della fine di maggio-inizio giugno in cui mi chiedevi notizie sul pellegrinaggio di Trecastagni. Mi sono informato con don Gaetano Zito, archivista della diocesi di Catania, il quale sta dirigendo una tesi su questo pellegrinaggio presso l’Istituto di scienze religiose di Catania. Zito mi precisa che:


–          il santuario di S. Alfio è a Trecastagni: il pellegrinaggio, dunque, non è da Trecastagni al santuario.


–          attualmente non ci sono croci portate dai pellegrini. Fino a qualche tempo fa c’era invece l’usanza dei “nudi”, pellegrini che per penitenza andavano al santuario quasi nudi.  


–          la data quella del 10 maggio, come da te scritto.


Questo è tutto.


Don Leonardo Mancuso ha pubblicato il volumetto su Bilìci. Ti mando a parte una copia. Vedo l’interesse scientifico e pastorale crescente sul tema del pellegrinaggio (vedi l’ultimo numero di Regno, n. 14, pp. 446-448).


Il volume su Bilìci troverà un terreno pronto! Stanno pervenendo anche le risposte dei parroci al questionario inviato da Chiara. Con affetto e buone vacanze!


                                                                                                                                             Cataldo Naro


Anche tre anni dopo, in un altro scritto inviato al medesimo destinatario, si coglie il destro per segnalare un rapporto di viaggio in Sicilia redatto da un autore italo-americano, subito dopo la seconda guerra mondiale: si parla, una volta di più, del culto al Crocifisso [Mangione 1992: 193-197].      


Centro Studi “A. Cammarata”


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93017 San Cataldo


                                                                                                                                                             6/4/99


Carissimo,


                ti segnalo un’interessante testimonianza di un resoconto di viaggio in Sicilia di un italo-americano nell’immediato secondo dopoguerra, da cui emerge – nelle pagine fotocopiate che unisco – la devozione siciliana, anche maschile, al Crocifisso. Forse può esserti utile ad arricchire, per eventuali altri tuoi saggi e articoli, la documentazione sulla devozione al Crocifisso in Sicilia.


                Cordialmente


                                                                              Cataldo Naro


Appena due giorni dopo la lettera precedente, un’altra ne segue per rimandare in particolare alla conclusione presente in un altro suo saggio [Naro 1997b], scritto a proposito di Domenico Lentini, un predicatore mistico degli inizi del XIX secolo. Il tema ricorrente è quello della devozione al Cristo crocifisso, sofferente, di cui aveva scritto anche su “L’Osservatore Romano” [Naro 1996] offrendo una chiave di lettura secondo cui “non compiangiamo, dunque, semplicemente la vittima di una tremenda ingiustizia di tanti secoli fa, ma viviamo un rapporto con Gesù, il Messia crocifisso e risorto”:


CATALDO NARO


    DIRETTORE


                                                                                                                                                                            8.4.99


Carissimo,


                non ricordando se ti ho mandato l’unito saggio su un predicatore meridionale del primo Ottocento, lo faccio ora. Ti prego di leggere la conclusione: forse può fornire qualche spunto di riflessione sull’incidenza storica della devozione al Crocifisso, di cui discuti nel libro su Bilici. Cordialmente


                                                                                                                                                             Cataldo Naro


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L’appressamento all’epilogo


Il rapporto epistolare non riguarda solo temi culturali ma investe anche l’ambito personale e familiare, come risulta dal biglietto di ringraziamento per la partecipazione al lutto in seguito alla morte del padre dello stesso don Aldo. In tale contesto si affaccia pure l’interrogativo sul senso della morte, sul suo significato, quasi prolegomeno ad una riflessione ancora più articolata e motivata che poi don Naro presenterà ad un pubblico particolarmente colto, in occasione di un anniversario sturziano e quasi alla vigilia del suo stesso improvviso trapasso:


CATALDO NARO


    DIRETTORE


                                                                                                                                                                            3 settembre 2001


Grazie, carissimo Roberto, della lettera con cui mi dici di avere appreso della morte di mio padre. Sì, ringrazio il Signore di averlo avuto come genitore. E adesso Gli chiedo di dargli il riposo eterno. E chiedo pure che l’esperienza mi introduca di più nel mistero che si cela dietro la morte. Grazie ancora. Spero di avere modo di incontrarti di presenza prossimamente.


                Con riconoscente amicizia


                                                                                                              Cataldo Naro


Un’ultima missiva giunge appena a ridosso della conclusione di un’assemblea della Conferenza Episcopale Italiana a Roma. Il peso dell’onere episcopale è evidente, come lo è quello del desiderio di un incontro amicale, in prosieguo di una frequentazione ultradecennale. Si constata che l’esistenza si è trasformata e quasi non lascia spazio alla riflessione pacata, al ripensamento critico, alla ripresa di fiato dopo le fatiche anche fisiche del ministero. Messe da parte simili considerazioni, il pensiero va direttamente all’amico ed alle sue problematiche. Ed un’ultima volta c’è l’invio di una pubblicazione del “Cammarata”, insieme con la firma di Aldo Naro:


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                                                                                                                                                             26 maggio 2003


Carissimo Roberto,


                di ritorno dalla Conferenza Episcopale che si è svolta nei giorni scorsi a Roma, trovo la tua lettera di cui ti sono molto grato. Ritornando a Roma per qualche altro impegno, cercherei di incontrarti. Penso proprio di restare quello di prima, pur assorbito dai compiti del ministero. La mia vita è interamente mutata, non ho spazi di riflessione, ma capisco che è necessario conservare la capacità di ripensare ciò in cui si resta immersi. Un incontro con te mi aiuterà certamente in questo senso. Spero che il tuo lavoro e la tua vita scorrano secondo i tuoi desideri.


Ti invio l’ultimo volumetto del Centro Cammarata. Con grata amicizia


                                                                                                                                                                            Aldo Naro


Tre mesi dopo perviene un semplice saluto, essenziale, quasi un commiato, questa volta accompagnato dal segno episcopale della croce che precede la firma:


CATALDO NARO


    DIRETTORE


                                                                                                                                             20/8/2003


                Con amicizia sempre viva e grata


                                                                                                              +Cataldo Naro


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Infine giunge ancora un altro plico, spedito il 9 novembre 2005: contiene la lettera pastorale 2005-2006 “Amiamo la nostra Chiesa” (indirizzata “ai fedeli della Chiesa di Monreale”), nonché una foto della visita dell’arcivescovo Naro a papa Benedetto XVI. Sulla copertina del documento arcivescovile è rappresentato lo scambio di pace fra Paolo e Pietro a Roma; esso rinvia emblematicamente anche alla stessa foto dell’incontro fra monsignor Naro ed il Pietro di oggi, il Pontefice medesimo.           


Conclusione


Non sempre si riesce ad essere profeti in patria ma basta varcare i propri confini territoriali per trovare più larga eco alle proprie proposte. Così è avvenuto per don Aldo quando ha cominciato a frequentare ancor più Palermo e Roma.  


Naro, com’è noto, vuol dire fuoco ed egli in effetti era un fuoco che bruciava per infiammare anche gli altri e lo faceva sino ad annientare se stesso a vantaggio altrui. Ma dalle ceneri si risorge e si fa risorgere anche gli altri.  


È così che l’esperienza di Chiesa “trova la sua più propria manifestazione nella persone che si usa dire ‘sante’ in senso speciale, persone cioè che si sono distinte nella dedizione a Dio e nel servizio ai fratelli in un modo tale da porle come segno e modello per l’intera comunità” [Naro 1981: 2]. Quanto don Aldo diceva di altri può ben attagliarsi a lui stesso, che è stato testimone straordinario di una fede vissuta e consapevole ma anche un vocato al lavoro intellettuale in senso pieno, da etica weberiana [Weber 1967]. Alla “Litania delle figure di santità della Chiesa di Monreale”, da lui acclusa alla sua lettera pastorale del 2005-2006, non sarebbe dunque improbabile aggiungere in futuro anche il suo nome, ricordandolo per l’amore diffusivo che oggi a molti fa dire di lui: “mio fratello”.    


Riferimenti bibliografici


Carmelina Chiara Canta, Roberto Cipriani, Angelo Turchini, Il viaggio. Pellegrinaggio e culto del Crocifisso nella Sicilia centrale: lu Signori di Bilìci, Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma, 1999.


Luca Diotallevi, Religione, chiesa e modernizzazione: il caso italiano. Aggiornamenti agli anni ’90 sugli approdi del progetto cattolico di modernizzazione religiosa: un contributo di sociologia della religione, Borla, Roma, 1999.


Claude Lévi-Strauss, Lo sguardo da lontano, Einaudi, Torino, 1984; ed. or., Le regard éloigné, Plon, Paris, 1983.


Roberto Cipriani, La religione dei valori. Indagine nella Sicilia centrale, Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma, 1992.


Johan Leman, “Siciliaanse migranten en hun gezinnen. Een socio-cultureel verhaal”, Kultuurleuven, 9, 1976, pp. 803-825.


Johan Leman, “I testimoni di Geova nell’immigrazione siciliana in Belgio. Una lettura antropologica”, Argomenti, 6, 1987, pp. 20-29.


Johan Leman, “The Italo-Brussels Jehova’s Witnesses Revisited: From First Generation Religious Fundamentalism to Ethno-Religious Community Formation”, Social Compass, 45, 2, 1998, pp. 219-226.  


Jerre Mangione, Riunione in Sicilia, Sellerio, Palermo, 1992.


Cataldo Naro, Il movimento cattolico a Caltanissetta (1896-1919), Edizioni del Seminario, Caltanissetta, 1977.  


Cataldo Naro, “Specifico locale e folklore locale”, La Voce di Campofranco, XXI, 4, 1981.


Cataldo Naro, Un esempio di agiografia nella tradizione del popolo. Vite popolari del Padre Pirrelli da San Cataldo, Edizioni del Seminario, Caltanissetta, 1984.


Cataldo Naro, Dizionario biografico del movimento cattolico nisseno, Centro Studi sulla Cooperazione “A. Cammarata”, San Cataldo, 1986.


Cataldo Naro, “Confronto con la secolarizzazione”, La Voce di Campofranco, XXIX, 11, dicembre, 1989a.


Cataldo Naro, Momenti e figure della Chiesa nissena dell’Otto e Novecento, Centro Studi “A. Cammarata”, San Cataldo, 1989b.


Cataldo Naro, “Leggere la realtà attraverso una indagine”, La Voce di Campofranco, XXIX, 8, settembre, 1989c.    


Cataldo Naro, La chiesa di Caltanissetta tra le due guerre, 3 voll., Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma, 1991a.


Cataldo Naro, “Per una riflessione sulla diffusione delle sette nel contesto nisseno”, La Voce di Campofranco, XXXI, settembre, 7, 1991b.


Cataldo Naro, “Le difficoltà del discorso ecclesiale sulla mafia”, La Voce di Campofranco, XXXII, 10, ottobre, 1992a.


Cataldo Naro, “Una questione di dettaglio”, La Voce di Campofranco, XXXII, 9, settembre, 1992b.


Cataldo Naro, “Ottimismo o pessimismo?”, La Voce di Campofranco, XXXIII, 2, febbraio, 1993a.


Cataldo Naro, “Indagine sociologica e ricerca storica sulla chiesa nissena: per un fecondo confronto”, La Voce di Campofranco, XXXIII, 3, marzo, 1993b.


Cataldo Naro, “Un Messia crocifisso per la salvezza dell’uomo”, L’Osservatore Romano, 22 marzo 1996.


Cataldo Naro, “La pietà popolare è partrimonio ‘civile’?”, L’Aurora Nuova, 1, 1997a, pp. 11-13.


Cataldo Naro, “La spiritualità di Domenico Lentini”, in Paolo Ghedda (a cura di), Domenico Lentini contemplativo e asceta in terra meridionale. Atti del Convegno di Studi promosso dalla Fondazione ‘Venerabile Domenico Lentini’ (Lauria, 14-16 ottobre 1994), Morcelliana, Brescia, 1997b, pp. 73-91. 


Max Weber, Il lavoro intellettuale come professione. Due saggi, nota introduttiva di Delio Cantimori, traduzione di A. Giolitti, Einaudi, Torino, 19672 [“Wissenschaft als Beruf, Politik als Beruf”, in Geistige Arbeit als Beruf. Vier Vorträge vor dem Freistudentischen Bund, Duncker und Humboldt, München, 1919].