“Valle Aurelia 35 anni dopo (1981-2015)”, Roma Moderna e Contemporanea, 1-2, 2015, pp. 191-218.

Roberto Cipriani


VALLE AURELIA 35 ANNI DOPO (1981-2015)


Premessa


  A seguito delle delibere comunali n. 799 e n. 2923 del 1981 e nonostante le vibrate proteste dell’Associazione “Italia Nostra”, nel mese di luglio dello stesso anno una ruspa ha abbattuto casa per casa, baracca per baracca e manufatto per manufatto, anche se ancora in buone condizioni, la borgata romana (atipica, perché non periferica) di Valle Aurelia, sorta vari decenni prima soprattutto per alloggiare i lavoratori delle fornaci attive nella zona, ai piedi di Monte Ciocci e della Pineta Sacchetti. Immagini fotografiche, databili tra la fine del diciannovesimo secolo e gli inizi del ventesimo, mostrano numerose ciminiere svettanti e fumanti, nello scenario di quella che antiche stampe geografiche indicavano in modo appropriato come Vallis Inferior (da cui deriverebbe successivamente il toponimo Valle dell’Inferno) perché posta più in basso rispetto alle colline cretacee circostanti, sfruttate come cave sin dagli inizi dell’era cristiana.


  Nel XV secolo le fornaci erano operanti in aree non lontane da piazza san Pietro. Nel 1458 fu Pio II[1] che ne volle lo spostamento oltre il Vaticano, sul lato della via Aurelia. Esisteva una Università (o corporazione) dei fornaciai (i cui statuti furono approvati nel 1484 dal papa Innocenzo VIII[2]), che nel 1552 fece costruire una chiesa detta di sant’Angelo del Torrione o delle Fornaci (od anche di san Michele), posta vicino a Porta Cavalleggeri, appunto in una zona di fornaciai; il piccolo tempio andò poi distrutto nel 1849 per un bombardamento francese. Nel 1568 erano già quindici le fornaci attive fuori delle mura vaticane[3].


  Tali straordinari giacimenti di argilla hanno consentito la cottura di molti milioni di mattoni, specialmente per le costruzioni della nuova Roma, divenuta dal 20 settembre 1870 capitale d’Italia, con la contemporanea cessazione del potere temporale dei papi e dunque dello Stato Pontificio.


  In precedenza, ai tempi del papa-re, era aperta, lungo le mura del Vaticano, la Porta Pertusa, che immetteva proprio verso la citata Valle Inferiore, da dove erano giunte nei secoli anteriori numerose delegazioni di ogni tipo in visita al pontefice (nel 1655 anche quella della regina di Svezia, Cristina, per la quale la porta venne riaperta).


  Fu quello, almeno in parte, anche il percorso seguito il 6 maggio 1527 dai soldati lanzichenecchi, che invasero e saccheggiarono Roma. Invero le porte interessate dall’assedio furono Porta Torrione (Porta Turrionis, oggi detta Cavalleggeri) e Porta Fabbrica o Fabrica, forse voluta dall’antipapa Giovanni XXIII (pontefice dal 1410 al 1415) e detta anche Porta Fornacum ovvero delle fornaci, come documentato in una mappa del 1551 (il che testimonia che la zona era occupata da opifici a carattere edile nel sedicesimo secolo, soprattutto per i lavori di costruzione della basilica di san Pietro, ma la datazione di fornaci in loco rimonta a secoli anteriori). Da Porta Fabbrica passavano i beni ad uso della Fabbrica di san Pietro, ovvero ad usum fabricae, cioè a. u. f., ovvero “a ufo” (espressione ormai di uso comune, ma con un altro significato: gratis, a sbafo).


  Porta Pertusa non risulta tuttora lontana dalle altre due porte e risale probabilmente agli inizi del quattordicesimo secolo, proprio come Porta Fabrica (ma Porta Pertusa potrebbe essere ben più antica, databile al tredicesimo secolo). Peraltro Porta Pertusa era così vicina a Porta Fabrica che quest’ultima venne poi chiusa (sotto Martino V, papa dal 1417 al 1431), successivamente riaperta per qualche tempo (da Paolo III, papa dal 1534 al 1549) ed alla fine ostruita del tutto, al termine dei lavori della basilica, nel 1626.


  Anche Porta Pertusa ha subito alterne vicende di chiusura e riapertura. Ora è del tutto murata, nei suoi tre fornici, in prossimità della Torre di san Giovanni: si può ritenere che uno degli interventi più consistenti di restauro delle mura vaticane e della medesima porta sia dovuto a papa Pio IV (1560-1565), Angelo della famiglia Medici di Milano, come testimoniano varie lapidi apposte lungo la cinta muraria.


  Il legame territoriale fra la Città del Vaticano e Valle Aurelia[4] è quanto mai evidente, come ricorda anche un’iscrizione incisa lungo la facciata della chiesa parrocchiale di san Giuseppe Cottolengo, inaugurata e consacrata dal cardinale vicario di Roma Ugo Poletti il 30 aprile 1979: la scritta, rivolta verso la basilica di san Pietro, recita UBI PETRUS IBI ECCLESIA (Dov’è Pietro c’è la Chiesa). Su un altro lato c’è invece l’iscrizione D. O. M. (Deo Optimo Maximo) IN HONOR. SANCTI JOSEPH COTTOLENGO DICATUM MXMLXXVIII CHARITAS CHRISTI URGET NOS (a Dio ottimo massimoin onore di san Giuseppe Cottolengo dedicato nel 1978. La carità di Cristo ci spinge). Come ricorda una targa in marmo apposta su una parete alla sinistra dell’ingresso nel tempio, Papa Giovanni Paolo II visitò la parrocchia il 18 dicembre 1988, incoraggiando le varie opere presenti, in particolare quella per l’accoglienza dei profughi, dei poveri e degli ex carcerati (sostenuti da un sacerdote, don Germano Greganti, che aveva preso possesso di un locale seminterrato dove in precedenza, a viale di valle Aurelia, era stata provvisoriamente allestita la chiesa parrocchiale), la “Legio Mariae”, la San Vincenzo, il Centro Olimpia “per l’animazione sportiva ai gruppi giovanili”, la Corale Lauretana, i catechisti, il Consiglio Pastorale, tutte testimonianze di una forte propensione all’associazionismo ed alla solidarietà. Il 2 dicembre 1990 si recò poi alla parrocchia di sant’Ambrogio in via Girolamo Vitelli.


I cambiamenti intervenuti


  Nei due secoli passati, a pochi passi dalla città in costruzione, con le cave di argilla a cielo aperto lungo i pendii delle colline sovrastanti, a poco a poco sorse la borgata, le cui case erano costruite con gli stessi mattoni prodotti in loco. Diciotto fornaci erano dislocate nella parte centrale della Valle Aurelia. Oggi restano in piedi due sole ciminiere: della fornace Veschi, lungo via Baldo degli Ubaldi, e della fornace Pomilia, posta più all’interno, in via Gavino di Suni, e meglio conservata nel suo insieme perché riutilizzata più volte con varie destinazioni (ultimamente come tipografia). Le altre fornaci, che appartenevano a Vaselli, Bellagamba ed altri, sono del tutto scomparse.


  La vita dei fornaciai trascorreva secondo ritmi di vita prestabiliti: lavoro in cava, trasporto dell’argilla, allestimento delle forme per i mattoni, asciugatura, introduzione dei manufatti nella fornace, cottura, recupero, allestimento per la consegna e l’invio e poi a casa o nelle varie osterie tipiche del luogo (famosa, fra le altre con nomi singolari, quella detta “della sposetta”), protette da pergolati di viti che riparavano dai raggi del sole gli accaldati fornaciai, i quali erano soliti spegnere l’arsura delle loro gole con abbondanti bevute di vino.


  Sono plurisecolari gli utilizzi di tipo agricolo rilevabili in zona, invece la storia urbana della valle è piuttosto recente. Molto si sviluppò con la “febbre edilizia” che caratterizzò Roma capitale, a cavallo fra la fine dell’Ottocento e l’inizio dello scorso secolo. Fu allora che sorsero le fornaci moderne e le prime abitazioni per i fornaciai (in gran parte d’origine veneta, come testimonia il gergo usato nel loro mestiere).

  Don Luigi Guanella, proveniente dalla chiesa del Trionfale, forse su sollecitazione dello stesso papa Pio X, fu uno dei primi ad interessarsi religiosamente di quel luogo, portandovi l’annuncio evangelico nell’estate del 1905. Nel 1917 sorse anche una chiesetta, intitolata poi nel 1921 a santa Maria della Divina Provvidenza.

  Molto più tardi, nel 1962, venne istituita la parrocchia con il titolo di san Giuseppe Cottolengo (la sua sede principale solo nel 1979 è stata spostata nel nuovo complesso che affianca la fornace Veschi, dopo una sistemazione provvisoria in un locale a piano terra in viale di Valle Aurelia, ora occupato da uno Studio Fisioterapico); in precedenza la sede ufficiale era stata presso la citata chiesa di santa Maria della Provvidenza in via degli Embrici 32, al centro della vecchia borgata. Fino al 2006 la parrocchia è stata retta dalla Congregazione dei Servi della Divina Provvidenza (detti Guanelliani), ma già qualche anno prima a seguito di un episodio che aveva avuto come protagonista un giovane prete era cominciata a venir meno la fiducia da parte della popolazione residente. Adesso la parrocchia è affidata al clero diocesano, che invero dà l’impressione di un minore attivismo rispetto al passato (anche a livello di oratorio ed attività sportive, un tempo abbastanza fiorenti).


  Negli anni Venti del secolo scorso si trovavano nella valle un centinaio di famiglie. In seguito il gruppo andò incrementandosi. Negli anni Cinquanta, alla chiusura delle fornaci (l’ultima, la Veschi, venne spenta del tutto nel 1960), vi erano oltre duemila persone, poi ridottesi a meno di mille negli anni Settanta. Dopo il 1981 nell’area della vecchia borgata sono rimasti la chiesetta e piccoli nuclei di case ad essa adiacenti. Si era previsto di creare un parco pubblico, di cui vennero posti i primi cartelli. Ma non se ne fece mai nulla. Di fatto resta solo un ricordo nel titolo “Parco Regionale Urbano Valle Aurelia”, inglobato nel 1987 nel “Parco Regionale Urbano Pineto”.


  Oggi i connotati della zona sono cambiati di molto, sono da tempo sorte nuove case popolari, vi sono numerosi insediamenti. Sono mutati anche alcuni percorsi viari: non esiste più il campo sportivo che bloccava la prosecuzione di via di Valle Aurelia verso il Pineto ed anche l’accesso a via Baldo degli Ubaldi è stato occupato da un parcheggio ad uso degli utenti della fermata della metro A e della stazione ferroviaria (entrambe denominate Valle Aurelia). Funziona ancora un altro campo sportivo di calcio, già in uso negli anni Settanta, ubicato in via Ettore Stampini 36, a ridosso delle case dell’IACP. Dal 2011 vi opera l’Associazione Sportiva Dilettantistica Nuova Valle Aurelia, nata dalla fusione fra la Polisportiva Valle Aurelia e l’Associazione Sportiva Dilettantistica “Nuova Aurelia” e promotrice di un Centro di Formazione ed Educazione Sportiva con una scuola di calcio intitolata al giocatore Giacomo Losi, ex capitano dell’Associazione Sportiva “Roma” e già direttore sportivo della Polisportiva “Valle Aurelia 87”. In anni ancor precedenti erano sorte le squadre di calcio della “Stella Rossa” (di matrice comunista), della “Valle Aurelia”, della “Libertas Valle Aurelia” (d’ispirazione democristiana), dell’Unione Sportiva Dilettantistica “Le Fornaci” (nata nel 2005 ed idealmente ricongiunta alla vecchia “Stella Rossa”).


Dalla borgata sui generis alla gentrificazione sui generis


  Nel corso del XX secolo Valle Aurelia era considerata a buona ragione una borgata sui generis perché non si trovava in periferia ma in centro, non era abitata da famiglie in condizioni di povertà ma da operai delle fornaci ed altri operai ed artigiani, non era priva di luoghi di aggregazione ma fruiva di una Casa del Popolo e di una chiesa e di un complesso parrocchiale come pure di campi di calcio ed altri sport (pallavolo, pallacanestro, minibasket, ecc.), non era mal collegata con la città ma godeva di un servizio di trasposto che faceva capolinea al centro stesso del borgo o borghetto che si volesse definire, non era una delle dodici borgate ufficiali sorte nel periodo fascista ma era nata ancor prima, non era segnatamente solo un borgo per la presenza di case o baracche od altre abitazioni accostate fra loro ma non aveva neppure l’aspetto di un paese, non si poteva definire specificamente – nonostante l’uso diffuso del termine fra i suoi abitanti – una vera e propria borgata (in quanto le residenze non erano sparse qua e là sul territorio ma piuttosto compatte fra loro), non era lontana dalla città ma ne faceva parte anche se la percezione che se ne aveva era diversa (non tanto per la distanza reale in termini di misure metriche quanto per la distanza psicologica), non era infine un borghetto in quanto sebbene piuttosto raccolto come insediamento non aveva il carattere di un contesto abitativo piccolo borghese ma piuttosto proletario.


  Dopo l’abbattimento delle case e delle baracche della vecchia borgata, una parte dei residenti che erano stati sloggiati è andata ad abitare nei quattro palazzoni costruiti dall’Istituto Autonomo Case Popolari (IACP) in viale di Valle Aurelia, dove sono ospitate, fra l’altro, sia la biblioteca di quartiere che una palestra di addestramento al pugilato. Più di recente un edificio piuttosto simile, salvo nei colori delle facciate (gialle) e degli infissi (che non sono rossi), è stato aggiunto nella medesima area (ancora seguendo una collocazione a scacchiera, come per le costruzioni IACP, al fine di non ostruire più di tanto la vista) ed accoglie anche, alla sua base, un supermercato CONAD-UPIM, che di fatto ha fugato quasi del tutto l’ipotesi, formulata qualche anno fa, di un centro polifunzionale conglobante anche la fornace Veschi e composto da un centro commerciale e un centro direzionale, per un totale di 77.000 metri cubi, servizi per 17.000 metri cubi e due piani interrati di parcheggi per 750 posti auto.


Al n. 286 di viale di Valle Aurelia è ubicata una filiale dell’Azienda Territoriale Edilizia Residenziale del Comune di Roma ed al n. 115/A una sede dell’Azienda Sanitaria Locale “Roma E”.


  Molti negozi in viale di Valle Aurelia hanno chiuso i battenti. Ma altri sono subentrati con prodotti diversificati. Il commercio sembra prosperare. In diversi usufruiscono delle agevolazioni fiscali per l’avvio di nuove imprese. Forse anche per questo il turn over degli esercizi commerciali risulta accentuato.Pure il costo delle case in zona è aumentato dappertutto: si va da un minimo di 3300 euro al metro quadro ad un massimo di 4400 (stima alla data dell’11 ottobre 2015). Tra via Umberto Moricca, via Baldo degli Ubaldi e viale di Valle Aurelia è stata incastonata una residenza universitaria, quasi un corpo estraneo giacché gli studenti non hanno alcun rapporto con il contesto che li circonda ed usufruiscono di quanto necessario, compreso un bar, rimanendo all’interno dell’edificio dove abitano.


  Nel 1990, in occasione dei mondiali di calcio, si era pensato ad un collegamento urbano via ferrovia con lo Stadio Olimpico. Venne usata una tratta del cosiddetto anello ferroviario o Cintura Nord di Roma. Fu realizzata una deviazione (a binario unico) della linea per Viterbo, poco oltre l’attuale viadotto, all’epoca ancora in via di completamento. La diramazione conduceva alla stazione di Vigna Clara passando sotto la galleria di Monte Mario, al cui interno si costruì una stazione Olimpico-Farnesina (o Farneto). Da quest’ultima si accedeva ad un tragitto di poco più di un centinaio di metri, con prosecuzione fuori dalla galleria verso lo stadio per altri 500 metri circa (ma per attraversare la via Olimpica fu necessario predisporre, da parte dell’esercito, un cavalcavia provvisorio). Il costo dell’intera impresa ammontò a 90 miliardi. L’utilizzo avvenne da parte di quasi 60000 passeggeri. La durata fu di 8 giorni e solo per un ridotto numero di ore. Di conseguenza il costo per passeggero risultò di circa un milione e mezzo di lire italiane.


  Nel 1993 sia la stazione Olimpico-Farnesina che quella di Vigna Clara vennero poste sotto sequestro dalla magistratura. Ci fu una richiesta di rinvio a giudizio del direttore generale del Ministero dei Trasporti, di tre dirigenti generali e di due ingegneri delle Ferrovie dello Stato, del capo compartimento delle Ferrovie, del direttore dei lavori, tutti poi assolti nel 1995 per l’insussistenza del reato.


  Nella stessa zona un altro intervento rilevante è stato quello della costruzione ed attivazione (nel 2000) della stazione ferroviaria di Valle Aurelia della linea Roma-Viterbo (inaugurata nel 1894). Vi opera il servizio regionale denominato FL3, su doppio binario, con collegamento urbano con Roma Ostiense e Cesano, ma anche suburbano con Bracciano e Monterotondo ed extraurbano con Viterbo. La stazione è sopraelevata. Vi si accede con scale mobili ed ascensori fino al terzo piano. Ampie vetrate, piene di scritte e graffiti, opere di artisti più o meno improvvisati, offrono viste panoramiche verso la Città del Vaticano da un lato e la Pineta Sacchetti dall’altro.


  Appena dopo la stazione di Valle Aurelia la ferrovia, in direzione di Viterbo, imbocca un traforo artificiale (ultimato tra il 1994 ed il 1995), che attraversa Monte Ciocci e si dirige verso le stazioni di Roma Balduina (in galleria) e Roma Monte Mario. All’interno stesso della galleria vi è una diramazione che va verso la tratta ferroviaria (dismessa nel 1990) della Cintura Nord di Roma, non completata ed ora del tutto abbandonata: lo spettacolo che si presenta a chi vi accede è quasi spettrale, fantascientifico, perché vi è una strada asfaltata ma non è percorsa né percorribile da autovetture (che non hanno alcuna possibilità di accesso data la differenza di livello, di qualche metro, rispetto al livello stradale). Lungo il percorso sono accatastati vari pali in metallo che presumibilmente facevano parte della rete elettrica aerea per fornire energia ai locomotori. Dopo un intervallo di alcuni metri altri cumuli di materiale richiamano ad un passato di loro utilizzo provvisorio ed estemporaneo. Ma soprattutto colpisce la presenza di piloni con luci semaforiche per dare il via libera o far fermare treni fantasma, senza rotaie e senza traversine. Quella che è stata una strada ferrata è del tutto “sferrata” e quasi sterrata: una vera e propria metafora di una programmazione approssimativa e sprecona, priva di un minimo di progettualità, fosse pure a media gittata e non limitata allo spazio di qualche giro di lancetta di un orologio a brevissima scadenza di funzionamento. Sullo sfondo di questo monumento all’inutilità si ergono gli edifici delle case popolari, in cui sono stati letteralmente intrappolati gli ex residenti della borgata, impossibilitati a muoversi più di tanto perché privi di strumenti che ne facilitassero la mobilità (si pensi soprattutto agli anziani collocati agli ultimi piani). Il tutto appare assimilabile all’inanità di una ferrovia servita a pochissimi, con un vero e proprio record mondiale di brevità nella durata di un impianto ferroviario.


  Se la ferrovia in disarmo costituisce un problema, fanno invece tenerezza alcune scritte che si leggono lungo i muri quasi a ridosso della chiesetta intitolata a Nostra Signora della Divina Provvidenza (un tempo sede della parrocchia): “12.9 ti amo”, “anche domani”, “salti tu salto io”, “se siamo sotto lo stesso cielo non saremo mai così distanti ti amo” ed altro ancora, con nomi vari e talune raffigurazioni a contenuto sessuale. In precedenza in quello stesso luogo, all’altezza dell’arcata di un piccolo ponte, campeggiava la scritta “Valle Aurelia ora e sempre resistenza”, apposta da un militante politico di sinistra, al tempo dell’abbattimento della baraccopoli.


  Di recente Rete Ferroviaria Italiana (società per azioni al 100% di proprietà delle Ferrovie dello Stato Italiane) e Roma Capitale hanno manifestato l’intenzione di rimettere in funzione il percorso ferroviario che da Valle Aurelia, attraversando il Pineto, arriva alla galleria di Monte Mario e poi alla stazione di Vigna Clara. Il tutto dovrebbe aver luogo nel mese di giugno del 2016.


Il processo di gentrificazione


  La fenomenologia della gentrificaziome (termine che deriva dall’inglese gentry ovvero persone di nascita signorile) ha una portata quasi universale perché si ritrova in varie parti del mondo, sia pure con caratteri differenziati. Anche la città di Roma ha da tempo conosciuto tali dinamiche che vedono dapprima l’acquisto di case in cattive condizioni, ma situate in zone appetibili per vari motivi (centralità, vicinanza dei mezzi di trasporto, presenza di verde). Di solito gli acquirenti sono abbastanza danarosi ma sono intenzionati più che altro a trarre notevoli guadagni dall’operazione immobiliare che mettono in atto.


  In primo luogo approfittano della fatiscenza delle abitazioni per pagarle poco, comunque al di sotto del prezzo di mercato. Ma una volta entrati in possesso del bene edilizio lo ristrutturano, lo restaurano, lo rendono più pregiato con interventi migliorativi (applicando marmi, pavimenti in legno, infissi in metallo). Dopo di che procedono alla vendita dell’immobile a prezzi ampiamente maggiorati, certamente non accessibili dai precedenti proprietari o dagli appartenenti alle classi meno agiate o dagli immigrati o dagli stranieri non benestanti.


  Il termine gentrificazione risale alla sociologa Ruth Glass[5], che lo propose per la prima volta nel 1964 (a partire dal caso di un distretto operaio londinese: Islington) per indicare il passaggio di case modeste da proprietari poveri ad acquirenti ricchi, favorendo così l’incremento di valore degli immobili, dopo l’allontanamento di quanti vi abitavano in precedenza. Avvenuto ciò, la trafila successiva è scontata: la struttura edilizia viene rimessa a posto, rinnovata, aumenta di prezzo, favorisce tutt’intorno la presenza di negozi nuovi ed ulteriori servizi. Insomma inizia una catena incrementale che pur riguardando pochi edifici produce profitti cospicui. Il tutto avviene senza che vi sia un’adeguata conoscenza, da parte dei precedenti possessori, delle trasformazioni messe in atto in quelle che in passato erano le loro abitazioni.


  Si deve a London e Palen[6] una serie di caratteristiche tipiche della gentrificazione. La prima riguarda l’ambito demografico-ecologico: aumenta il numero dei componenti il nucleo familiare per cui le nuove generazioni si mettono alla ricerca di una residenza. Sale così la domanda immobiliare. Ma le nuove coppie sono di età più adulta ed ancora senza figli. Dunque tendono a stare in un luogo vicino al posto di lavoro, solitamente al centro della città. Da qui nasce la pressione sulle case abitate da persone più anziane, residenti da lungo tempo ed anche più bisognose di risorse economiche per le necessità in aumento con l’avanzare dell’età (assistenza, accompagnamento, acquisto di medicinali, cure mediche). Pertanto più facilmente sono costoro che cedono ad una proposta di vendita, anche se non sempre vantaggiosa. Tale situazione può avere un suo peso nel processo di gentrificazione dell’ex borgata di Valle Aurelia ma di fatto concerne più spesso una casistica affine, quella di lavoratori, immigrati e non, italiani e/o stranieri, che prendono in fitto locali comprati in precedenza da investitori immobiliari. Alla fine comunque si assiste ad un cambio della stratificazione sociale preesistente, in quanto subentrano soggetti in condizioni economiche meno precarie.


  Una seconda ragione può essere culturale e riguarda il cambiamento di stile di vita della classe media e di quella medio-alta che cominciano a preferire il centro della città invece della campagna. Ed allora Valle Aurelia riesce a soddisfare entrambe le istanze urbano-rurali perché essa si trova in un’area non periferica, anzi lontana dal Grande Raccordo Anulare e piuttosto interna alla città. In tal modo si riesce ad usufruire pure di alcune condizioni strategiche come le risorse offerte dalla vita cittadina, la mobilità intraurbana, la vicinanza di luoghi prestigiosi, l’accessibilità dei locai di loisir, una larga gamma di soluzioni per il tempo libero.


  Un terzo motivo è di ordine politico-economico. Si registra una propensione ad occupare gli spazi centrali o intermedi del tessuto urbano, anche grazie al venir meno di pregiudizi nei confronti dei nuovi arrivati in quartieri centrali. Pure nel caso di Valle Aurelia si può presumere che da parte dei residenti nelle Case Ciardi sia visto positivamente il cambio di stato sociale degli abitanti dell’ex borgata, non più proletari, sottoproletari, lavoratori precari, disoccupati, manovali, facchini, ex fornaciai. Insomma la gentrificazione in corso rende più omogenea la popolazione che risiede all’interno alla valle con quella che vive ai suoi margini, lungo le pendici delle colline cretacee, a nord ed a sud.


  In tal maniera risulta eliminata, dal centro città, l’eccezione di un insediamento operaio o non particolarmente privilegiato economicamente, giacché le classi sociali dei nuovi proprietari e dei nuovi inquilini tendono a coincidere o quasi. Di riflesso la gentrificazione si allarga alle zone circostanti e non consente immissioni di altro genere, che interromperebbero l’attuale continuum socio-economico-territoriale. Va però detto che qualche intervistato di Case Ciardi ricorda con nostalgia i tempi dei vecchi borgatari.


  Il trasferimento a Valle Aurelia inoltre può anche attribuirsi alla carenza di appartamenti disponibili nella cintura periferica o più o meno adiacente alla corsia interna del raccordo stradale che circoscrive l’urbe. Nel contempo sono altresì lievitati i costi degli immobili. Tutto questo insieme di andamenti può sembrare casuale ma di fatto non lo è perché deriva pure da una scarsa attenzione alla pianificazione dello sviluppo urbano. Oppure l’amministrazione municipale non si è preoccupata del deterioramento dei nuclei abitati al centro della città e li ha lasciati deperire favorendo, consapevolmente o meno, il successivo intervento speculativo, cioè l’incameramento dei beni edilizi ed in seguito la loro rivendita con incrementi significativi rispetto al prezzo di mercato. Detto altrimenti, quando si capisce che una certa area può produrre guadagni si fa di tutto per spostarne gli abitanti altrove e quindi sopravvenire per trarne profitti notevoli.


  Come quarto riferimento c’è la dimensione comunitaria, perduta o salvata. Nel caso di Valle Aurelia è ovviamente chiusa l’esperienza della borgata dei fornaciai. Né è andato a buon fine il tentativo di salvarla con il trasferimento di un certo numero di famiglie borgatare nelle quasi limitrofe case popolari dell’omonimo Istituto. Semmai sono stati gli stessi ex borgatari, in qualche misura, a ricreare lo spirito e la solidarietà del passato istituendo un “Punto d’incontro” di fronte agli edifici dell’IACP.


  Quello che è svanito è però proprio il vicinato di borgata, insieme con la mutua frequentazione quotidiana (anzi più volte nella giornata). L’interazione si è ridotta ad un breve saluto di circostanza. Le stesse attività del “Punto di incontro” non riescono a supplire la mancanza di relazionalità intersoggettiva. L’appartenenza ad una comunità non significa quasi più nulla. Né è subentrata un’altra appartenenza di tipo cittadino, di quartiere, di parrocchia, di partito o di altro. In fondo la presenza di nuovi vicini non è motivo di rivitalizzazione, giacché non c’è a monte una esperienza convissuta come quella unica ed ormai non ripristinabile di via dei Laterizi, di via della Ceramiche, di via delle Campigiane e così via. Chi abita adesso in queste strade difficilmente conosce il passato del contesto in cui, forse casualmente, si trova ad abitare od esercitare un’attività.


  Da ultimo occorre prendere in considerazione l’ambito dei movimenti sociali. Valle Aurelia ne ha visti diversi e taluni di qualche impatto nella storia romana. Senza volere mitizzare personaggi ed episodi è tuttavia indubbio che in borgata vi è stato un rimarchevole trend socio-politico di sinistra, segnatamente con l’azione del Partito Comunista Italiano. Si ricordano nomi ricorrenti di famiglie impegnate nella militanza politico-sindacale, anche fra le donne. Non sono mancati leaders che hanno difeso strenuamente gli interessi dei fornaciai e dei borgatari.


  Lo scontro ideologico è avvenuto con il fascismo dapprima e con il partito democristiano poi, in una realtà largamente connotata da un’adesione agli orientamenti della sinistra. Non si può certo dire che vi sia adesso una solida continuità con il passato. Non è emersa una nuova élite nei partiti progressisti. L’opposizione al governo nazionale ed all’amministrazione cittadina non conosce le manifestazioni di qualche decennio fa, i cortei, le proteste, gli scioperi.


  Le stesse istituzioni sono presenti in modo quasi larvato, assopito, dunque con scarso peso. Fatta eccezione per la biblioteca comunale, frequentata ed efficiente, non si segnalano altre sedi influenti in modo percettibile sulla vita sociale a Valle Aurelia. In definitiva pare mancare un’animazione socio-politico-culturale incisiva. Di conseguenza sembrano venute meno le spinte utopiche dei “vallaroli” della borgata. Non si assiste a movimenti ed azioni anti-potere: anche questo è un frutto della gentifricazione che pare appiattire ed annientare ogni tentativo di innovazione e di solidarietà sociale.


  Un altro approccio alla gentrificazione è suggerito da Smith e Williams[7], che prendono in esame cinque processi. Il primo chiama in causa l’espansione urbana, dovuta alla ricerca di profitto da trarre da terreni a basso costo. Ciò comporta un abbassamento di prezzo dei suoli nella parte centrale della città, in particolare in relazione ad edifici maltenuti perché abitanti da soggetti indigenti o non in grado di provvedere ai restauri necessari. Né vi provvedono i proprietari perché non hanno alcun interesse a farlo. Dunque la rendita fondiaria si riduce e comunque risulta inferiore a quella potenzialmente ricavabile in considerazione della centralità dell’immobile nell’ambito cittadino.


  In proposito viene avanzata la teoria del Rent-gap ovvera della differenza di reddito, la quale si basa sul fatto che esiste un divario fra la rendita capitalizzata di un terreno o di un immobile e le sue possibilità di maggiore reddito in base ad un uso diverso. Detto altrimenti ed in modo chiaro per il caso di Valle Aurelia il proprietario d un terreno o di una casa non spinge per il mantenimento dello status quo ma auspica che la sua proprietà abbia una destinazione diversa. Dunque è conveniente allontanare i residenti per poi ricavare ben di più da una risistemazione dell’immobile da offrire sul mercato, ottenendo redditi ben maggiori dei precedenti. Ovviamente l’intervento avviene quando la differenza fra reddito percepito e reddito percepibile raggiunge un sufficiente livello di convenienza per iniziare l’opera di esproprio o di recupero del bene.


  Un secondo motivo della gentrificazione è collegabile ai processi di deindustrializzazione. A Valle Aurelia la chiusura delle fornaci negli anni Sessanta ha segnato l’inizio della fine della borgata. E successivamente ha offerto l’occasione agli investitori immobiliari di far uso del Rent-gap. Venuto a mancare il lavoro nelle fabbriche di mattoni attorno al Vaticano, si è ridotta la consistenza della classe operaia nella capitale. E dunque anche la possibilità di riparare le case è stata inficiata per mancanza di risorse economiche, dovuta alla disoccupazione. A questo punto sono subentrati i detentori di capitale per far fruttare meglio la rendita delle aree industriali dismesse, comperate a prezzi convenienti e fatte fruttare poi con adeguati riaggiustamenti.


  La terza maniera della gentrificazione si sviluppa con la globalizzazione, che di solito prevede sedi gestionali al centro delle città. Poiché tale opzione è condivisa dalle società a carattere sia nazionale che internazionale sono esse stesse che favoriscono una centralizzazione delle strutture decisionali, anche per agevolarne la comunicazione fra loro. Dunque si riscopre l’importanza dei centri urbani, verso i quali si convogliano flussi di nuovi abitanti, i quali vanno a sostituirsi ai precedenti e tendono a gentrificare spazi altrimenti adibiti a residenze di famiglie di operai o di lavoratori tuttofare, non specializzati.


  La vicinanza ai vertici operativi diventa alla fine necessaria per ridurre i tempi delle scelte da implementare. In pratica sono i colletti bianchi a sostituirsi ai colletti blu. Probabilmente non è esattamente questo il caso di Valle Aurelia ma i processi di gentrificazione sono in atto nel loro insieme e stanno cambiando la composizione sociale della zona.


  Nella gentrificazione, come quarto elemento teorico, è importante la tempistica di realizzazione. Dopo lo sfruttamento massiccio delle aree periferiche è cominciato il declino del capitale in termini di profitto. Si è perciò pensato ad investire al di fuori dell’ambito industriale. Da qui nasce il ricorso al già citato Rent-gap, che consente al capitale di recuperare il perduto e di reinvestire.


  Infine, come quinto approccio, si fa riferimento all’inserimento delle donne nell’ambito delle forze di lavoro, ai mutamenti intervenuti nel matrimonio, nella famiglia, nell’educazione dei figli, elementi che tuttavia non sono alla base della gentrificazione, semmai la mostrano, la rendono evidente. Nel caso di Valle Aurelia questa forma di gentrificazione riguarda maggiormente i residenti di Case Ciardi e degli edifici IACP, non invece il vecchio insediamento della borgata.


  Coloro che adesso vivono negli edifici superstiti della vecchia borgata hanno compiuto una scelta tipica dei processi di gentrificazione: non contenti delle caratteristiche offerte dal nuovo modello di urbanesimo hanno preferito un insediamento old fashioned e che desse lustro, godendo altresì di spazi e di verde in misure non consentite altrove, né economicamente attingibili. Nel caso poi specifico della valle i nuovi arrivati pagano lo scotto dell’assenza di negozi ed altri servizi, ma tutto ciò è facilmente superabile perché, ad un minuto di macchina o poco più, l’area d’incrocio fra viale di Valle Aurelia e via Baldo degli Ubaldi offre ogni sorta di possibilità per acquisti e riparazioni, ristorazione e divertimento. A ciò si aggiunge la convenienza di avere a disposizione molte possibilità di parcheggio davanti casa, se non in garage, o all’interno degli ampi spazi verdi di proprietà privata.


  Interessa la valle anche una nuova corrente immigratoria, italiana e straniera, di lavoratori a basso reddito che vi trovano alloggio, a breve distanza dal posto di lavoro, svolto solitamente al servizio di classi medio-alte, che necessitano di varie attività di supporto.


  La nuova composizione sociale nell’area che fu già della borgata è variegata: si va dal proprietario di villa con molte stanze ed ampi giardini all’affittuario che paga la sua pigione mensile di varie centinaia di euro (secondo l’ampiezza dello spazio che occupa). Ma vi sono anche proprietari di villette ed appartamenti che godono del privilegio di strutture abitative solide e sicure, in un contesto tranquillo e senza particolari pericoli di subire azioni criminali contro le persone ed il patrimonio.


  Una siffatta condizione si situa socialmente entro un livello tendenzialmente medio all’interno di una stratificazione urbana articolata e differenziata. Attualmente è dato verificare che gli estremi della divisione in classi sociali non sono rilevabili in zona. Dunque non vi risiedono famiglie particolarmente ricche e neppure segnatamente povere. Insomma sia la situazione di fatto che quella di immagine sono cambiate radicalmente. Ma permane così la constatazione che la città è al tempo stesso un indicatore ed un mezzo della stratificazione in classi. Risulta inoltre un’incapacità costante da parte della città di ridurre le distanze sociali e di sostenere adeguatamente coloro che soffrono maggiori disagi abitativi ed esistenziali.


  Riassumendo si può dire che la gentrificazione è causa ed effetto insieme di vari fenomeni: spostamento di gruppi di cittadini soprattutto anziani, poveri ed appartenenti a minoranze o in transito che non riescono a pagare né le tasse né i costi di ristrutturazione, aumento del reddito dei proprietari terrieri ed immobiliari, riduzione del numero delle case a prezzi accessibili sia per l’acquisto che per il fitto, mobilità e turn over delle strutture commerciali, perdita (o, meno spesso, aumento) della dimensione comunitaria[8], incremento dei conflitti sociali, aumento della pressione sulle aree abitative più povere per adibirle a nuovi investimenti immobiliari, aumento dei prezzi delle case, rientro in possesso dei beni immobili di proprietà anche grazie all’intervento statale, riduzione delle presenze commerciali e dei servizi, aumento (ma non sempre) del mix abitativo fra diverse classi sociali, presenza di famiglie con introiti differenziati per provenienza (lavoro in proprio, artigianato, attività impiegatizia, ristorazione, piccola e media industria), spinte verso ogni forma di sviluppo, incentivazione degli interventi di ristrutturazione, decrescita della criminalità, aumento del reddito fiscale, riduzione del numero di case inabitate o sfitte, aumento del mercato nero delle abitazioni (con contratti non registrati ed atti giuridicamente impropri e somme di denaro pattuite oralmente e consegnate brevi manu)[9].


  Intanto i nuovi residenti, fra cui una certa quota di auto-imprenditori e di donne sole, si caratterizzano per modelli di consumo più dispendiosi rispetto ai precedenti abitanti e prendono insieme adeguate misure nel caso di incremento del vandalismo e della criminalità in loco.


  In termini di stratificazione sociale vi è un’altra considerazione abbastanza pertinente: la gentrificazione ha come effetto l’allontanamento della classe operaia dal centro della città. Il processo si ripete in varie parti del mondo ma resta identico: si disinveste nelle attività site nei centri urbani e si delocalizza verso la periferia. Le strutture senza più alcuna possibilità si deprezzano ed a poco a poco cadono in rovina (esattamente come è successo con la fornace Veschi, ancora recuperabile negli anni Settanta con il suo ciclo continuo di cottura dei mattoni, ma oggi ridotta ad un cumulo di macerie, di cui si regge solo in piedi la ciminiera, la quale si è conservata sinora per il semplice fatto che non è possibile prelevarne alcun mattone senza correre rischi gravissimi di crollo). Nel frattempo però il territorio circostante è ritornato ad essere sfruttabile come terreno edificabile ed il precedente tessuto abitativo è stato riabilitato in pieno e reso più attraente, sia per ragioni di vetustà che comunque nobilita sia per motivi topografici (rimane pur sempre come il conclamato downtown, largamente preferibile a qualsiasi periferia).


  Il capitalismo fondiario-immobiliare ha tutto da guadagnare da un andamento di gentrificazione. Si costruiscono nuove case, quelle più antiche vengono trasformate in beni di lusso, lo spazio industriale diviene un misto lavorativo-residenziale (connotato invero già rilevabile nella borgata dei fornaciai, che avevano casa e bottega o fornace in stretta continuità spaziale), nuovi insediamenti occupano gli spazi finalmente disponibili (per impiantare ristoranti, negozi, bar, boutiques). Le precedenti classi sociali vengono destabilizzate, le culture preesistenti subiscono contraccolpi pesanti, i meno abbienti sperimentano un processo di ulteriore marginalizzazione. Intanto avanza il nuovo sistema FIRE (Finance, Insurance and Real Estate), il nuovo fuoco che brucia e riduce in cenere il pregresso, per lasciare spazio ai profitti finanziari, assicurativi ed immobilari.


  In Italia si sarebbe potuto pensare che dopo l’estinguersi del cosiddetto miracolo economico degli anni Sessanta non ci fosse più spazio per i “palazzinari” della Rona del dopoguerra. Ed invece sotto nuove forme lo sfruttamento edilizio è riapparso ed ha avuto ragione di un insediamento secolare come quello di Valle Aurelia. Insomma le classi più ricche e quelle della borghesia medio-alta si sono riprese il centro della città (secondo il modello di Burgess[10] sulla città a cerchi concentrici), anche in un contesto che in precedenza non era neppure pensabile potesse essere utilizzabile per fini speculativi.


La gentifricazione di Valle Aurelia


  Come già avvenuto per lo sviluppo urbano di Chicago, oggetto di studio della cosiddetta Scuola di Chicago, anche nel caso di Valle Aurelia l’apertura di una stazione ferroviaria ha rappresentato un vero e proprio volano per la trasformazione della zona, in misura così evidente che quasi immediatamente l’area circostante è divenuta più appetibile residenzialmente, come mostra anche l’apertura di una sede per gli alloggi destinati a studenti universitari. Ma il cambiamento più significativo sociologicamente concerne la progressiva ed ormai inarrestabile gentrificazione della Valle Aurelia, un tempo abitata prevalentemente da fornaciai e poi da operai più o meno specializzati. Questo salto di qualità riguarda anche l’aspetto esteriore delle abitazioni, specialmente laddove si trovava la borgata, fatta di case fatiscenti ma anche di manufatti nient’affatto disprezzabili e comunque piuttosto resistenti. Ora i borgatari si sono trasferiti nelle case popolari di viale di Valle Aurelia, nei quattro grandi edifici dagli infissi rossi, oppure ancora più lontano, in altri quartieri romani più o meno periferici. 


  La costruzione della nuova stazione ferroviaria sopraelevata ha separato ancor più, paradossalmente, l’abitato della Valle dal resto della città. Infatti l’accesso diretto da via di Valle Aurelia a via Angelo Emo è stato bloccato da un piccolo parcheggio, angusto (per non più di 26 autovetture), dove è persino arduo far manovra. Pure l’altro capo della via è senza sbocco, verso l’area verde sottostante la Pineta Sacchetti, cui è impossibile accedere con mezzi di locomozione perché una sbarra impedisce il transito per il tratto terminale del percorso, mentre un’ulteriore sbarra non consente di entrare nella parte più verde dell’intera valle, fra la Balduina ed il Policlinico Gemelli.


  Quasi sul limitare della zona abitata insistono diversi edifici rimodernati di recente, segnatamente diversificati rispetto al loro aspetto anteriore. Adesso si è di fronte a residenze che appaiono di buon livello, preziose in un contesto verdeggiante tutt’intorno ed invero a pochissimi minuti da piazza san Pietro. Le facciate risultano completamente restaurate, con uso di materiali pregiati. Gli interni sono costituiti da abitazioni private, da piccoli e grandi appartamenti, ed anche da camere d’albergo. Invero sin dagli anni Settanta una residenza denominata “Magnolia” aveva aperto i battenti a qualche centinaio di metri dall’insediamento dei fornaciai, quasi anticipando quello che sarebbe stato il futuro della zona. Le offerte di ospitalità attraverso Internet sono varie e si presentano come abbastanza appetibili per la tranquillità e la silenziosità dell’ambiente, ma pure per la felice collocazione nei pressi della ferrovia e della metropolitana. Quest’ultima, inaugurata il 29 maggio 1999, passa appena sotto il cavalcavia ferroviario. Entrambe le stazioni si denominano Valle Aurelia e sono assai frequentate, specie nelle ore di punta, intorno alle otto del mattino ed alle cinque del pomeriggio, allorquando il via vai è più intenso e l’attività commerciale dell’unico negozio presente in zona diventa più frenetica per le code di clienti che si formano per l’acquisto di biglietti e tabacchi, giornali ed altri generi, nonché per la ricevitoria dell’Enalotto e per la possibilità di effettuare vari pagamenti in rete.


  Qualche tempo fa si sono registrate denunce dei cittadini ed inchieste radio-televisive per le condizioni disastrose dell’insieme delle due stazioni, degli accessi, degli ascensori, delle scale mobili, dei percorsi lungo le tre rampe di scale che portano alla stazione ferroviaria, posta al terzo piano del cavalcavia. Ne danno testimonianza anche un video de ilfattoquotidiano.it, un resoconto dello stesso giornale, a firma di Paola Mentuccia (in data 8 marzo 2014)9, il blog dal titolo Romafaschifo ed anche Youtube con Welcome to favelas (“Valle Aurelia… che tristezza”, datato 7 dicembre 2007, con oltre tremila visualizzazioni). In realtà le condizioni delle stazioni di Valle Aurelia non differiscono di molto da quelle delle altre stazioni ferroviarie della cintura urbana di Roma e del sistema delle tre linee della metropolitana. Si è anche parlato di furti continui di portafogli che verrebbero poi abbandonati privi del denaro ma non dei documenti. Anche su questo è difficile effettuare verifiche quantitative, per la carenza di denunce formali alle autorità di polizia.


  Un testimone privilegiato di quanto avviene nella zona di confluenza delle due stazioni è il giornalaio, che da mattina a sera tiene aperta la sua edicola per gli avventori di passaggio, che comprano anche bibite tenute al fresco in un frigo in bella mostra. Altri locali vuoti affiancano l’edicola ma sono in stato di abbandono, così come un piccolo giardino pieno di erbacce e separato da una struttura metallica, in pessime condizioni e mai sottoposta a manutenzione.


  Un doppio locale è adibito ai servizi igienici con una semplice indicazione di WC1 e WC2, dunque senza l’abituale distinzione di genere. Un altro locale è destinato all’uso da parte di portatori di handicap. C’è pure un lavabo. L’uso dei gabinetti è però a pagamento: 0,50 centesimi di euro per l’accesso, ma senza resto. Occorre disporre del contante esatto.


  Per raggiungere o lasciare la stazione ferroviaria di Valle Aurelia ci sono scale mobili sia in salita che in discesa, ma non sono sempre tutte in funzione. Il che costituisce un grave problema specie per gli anziani e per chi ha bagagli od altri oggetti da trasportare. Ma soprattutto rappresenta una brutta sorpresa ritrovarsi al secondo od al terzo piano con le scale mobili guaste. Ci sono ascensori non molto capienti e non tutti a disposizione del pubblico. Alcuni funzionano solo con chiave, verosimilmente a disposizione solamente del personale di stazione, che però non c’è. Sorge persino il dubbio se siano o meno in funzione. Una piantina in alfabeto Braille per non vedenti è affissa ad una parete ma risulta deturpata e di fatto poco leggibile. Vi sono accessi lungo via Angelo Emo e via Baldo degli Ubaldi.


  In molte parti della struttura è percepibile un’incuria accentuata: cespugli di vegetazione spontanea, terreni incolti, sporcizia, scritte varie che imbrattano le pareti sino ai punti meno accessibili del cavalcavia. Notevole è la presenza di zanzare ed altri insetti anche piccolissimi e quasi invisibili, a causa dei numerosi focolai di un ambiente abbandonato a se stesso. Il servizio di pulizia è attivo solo nella parte pertinente alla stazione della metropolitana.


  Alla base di un pilastro del cavalcavia ferroviario, sul lato che dà verso la fermata degli autobus che provengono dalla zona Prati, in una piccola nicchia rotonda, qualcuno ha collocato un’immagine di san Pio da Pietrelcina. Dinanzi sono posti dei fiori freschi di campo. La collocazione è in bella vista e pare quasi una sorta di buon viatico per chi si accinge a viaggiare. L’uso dello spazio parrebbe improprio ma evidentemente l’immaginario popolare non conosce limiti e non si preoccupa di dover rispettare qualche norma. D’altro canto nessuno ha pensato di rimuovere l’icona, che non crea particolare fastidio ed anzi assume anche una funzione apotropaica.


  Sono due i parcheggi ai lati del cavalcavia ferroviario. Quello tra via Angelo Emo e via Anastasio II, retrostante un distributore di benzina IP e servizio di autolavaggio, è più ampio e dunque capiente, mentre l’altro prospiciente la valle ha dimensioni ridottissime, tanto da sollevare il dubbio sull’opportunità e sulla convenienza di tagliare ancora più l’insediamento di Valle Aurelia dal resto della città, ostruendo e troncando la strada preesistente (via di Valle Aurelia). Gli autobus fermano proprio accanto ai parcheggi. Sono il 490 ed il 495 che permettono il collegamento con la Stazione Tiburtina. Vi si ferma anche l’autobus notturno n. 1. Invece lungo via Anastasio II c’è la fermata dell’autobus n. 31 che porta a piazzale Clodio ed alla stazione Laurentina, del n. 33 che va pure a piazzale Clodio e Largo Lenin, del n. 180 corsa espressa festiva che conduce a via Dalla Chiesa ed a via Mazzacurati, del n. 247 che giunge alla stazione Metro Cipro ed alla stazione Aurelia. Creano inoltre problemi gli attraversamenti pedonali di via Angelo Emo e soprattutto della cosiddetta via Olimpica, dove per poter raggiungere l’ingresso del “Parco Pubblico di Monte Ciocci”, inaugurato il 15 luglio 2013 ed aperto anche d’inverno (dalle 7 alle 19), situato vicino ad un altro distributore di benzina della IP, occorre fare qualche centinaio di metri prima di trovare strisce pedonali ed un semaforo sulla via Anastasio II.


Il parco di Monte Ciocci


  La valle godrebbe, dunque, di un’altra risorsa, costituita dall’allestimento del “Parco Pubblico di Monte Ciocci” come area verde, recintata, munita di cancelli, tranquilla, accessibile al pubblico ed attrezzata con uno spazio circoscritto da rete metallica e riservato a giochi per bambine e bambini (giostre girevoli, una piccola teleferica, un mini-castello, scivoli, alcune strutture ondulate di colore azzurro, qualche altalena, un piccolo casotto a misura dei minori, alcune strutture coperte con tettoia). Ci sono diverse panchine, un piccolo teatro all’aperto (vicino ad una fontanella), una pista ciclabile doppia e color ocra, che conduce a via Proba Petronia incuneandosi fra via Armando Di Tullio (che incontra via Cesare de Fabritiis in discesa e porta dov’era la borgata di Valle Aurelia) e via Decimo Laberio in direzione di largo Apuleio, un percorso pedonale parallelo ed abbastanza largo, vari “nasoni” di acqua potabile dislocati lungo un percorso asfaltato di colore grigio riservato ai pedoni, spiazzi panoramici, luoghi predisposti per fare esercizi fisici. Recinzioni e cancelli racchiudono tutto l’insieme del parco, che fu aperto il 27 ottobre 2013 (come recita un cartello). Gli abitanti della Balduina (con un accesso agevole e quasi in piano e diverse palazzine che si affacciano direttamente sul parco) più di quelli di Valle Aurelia (da cui si accede mediante numerosi scalini – con mancorrenti ed illuminazione a lampioni – o da una rampa asfaltata, superando un dislivello di non poco conto) usufruiscono in pieno del verde di Monte Ciocci (che quasi costeggia per un tratto la ferrovia Roma-Viterbo), vi vanno a passeggiare, pattinare, fare jogging, sdraiarsi, prendere il sole, giocare a carte, fare picnic, chiacchierare con altri residenti, starsene in silenzio seduti su una panchina, ammirare il tramonto, osservare i tanti animali, in particolare ovini, che pascolano o starnazzano in una parte del parco (che ha assunto il carattere di una vera e propria fattoria, con tanto di pastori, allevatori, nonché autocarri, autovetture, pulmini, roulottes, piccola gru, trattori, macchine agricole, strumenti vari per l’agricoltura, stazzi, pollai, stalle, strutture abitative con antenna televisiva e parabola, il tutto debitamente recintato). Specialmente le capre pascolano ovunque e talora creano problemi anche nelle due stazioni di Valle Aurelia, com’è accaduto il 14 giugno 2015 allorquando una di esse si è arrampicata su una tettoia, per cui è stato necessario l’intervento dei Vigili del Fuoco per riaffidarla ad un pastore. Insomma a due passi da piazza san Pietro e con la vista del cupolone si è in piena campagna. Questa convivenza fra aspetti così diversi della capitale fa dell’insieme Valle Aurelia-Parco di Monte Ciocci un unicum nell’intero territorio comunale di Roma. Ma occorre dire che i residenti della valle non sentono il Parco di Monte Ciocci come qualcosa che appartiene loro, nonostante l’esistenza di un accesso diretto (attraverso la stazione di Valle Aurelia) che fa risparmiare molti scalini da salire. Dunque sono piuttosto gli abitanti della Balduina che apprezzano maggiormente e sentono proprio il verde di Monte Ciocci.


  Da quest’ultimo, ricco anche di piccole piante cespugliose ed alberi plurisecolari (specie pini e cipressi), si vedono l’Osservatorio Astronomico di Monte Mario ma anche l’Hotel Hilton e l’antenna-ripetitore di segnali radio-televisivi, nonché lo Stadio Olimpico. La vista arriva sino ai Colli Albani.


  Su Monte Ciocci è collocato un istituto agrario che verosimilmente riutilizza la colonia agricola voluta da don Guanella agli inizi del Novecento, fa largo uso di serre agricole ben tenute e dispone di alcuni piccoli campi sportivi polifunzionali (pallavolo, pallacanestro, calcetto, ecc.). Nei pressi è disponibile anche una fontanella.


  Nel parco, percorribile anche in bicicletta, c’è qualche manufatto abbandonato. In punti strategici e ben visibili, sul lato che dà verso piazzale Clodio e lo stadio Olimpico, si leggono scritte varie a caratteri cubitali: “e tra le nuvole dove ci si arrampicano gli dei ed ho visto che ci sei…”. “forever in my mind only you”, “hai visto il cielo sopra Roma e hai visto quant’è bello”, “ho iniziato a vivere da quando ti ho incontrata”.


La nuova Valle Aurelia


  Lungo il lato nord del cavalcavia, appena dopo il parcheggio minore che ha interrotto via di Valle Aurelia, è stato creato uno spiazzo sufficiente a permettere la conversione degli autobus dell’ATAC, i quali vi fanno capolinea con la linea 906, che porta dalla stazione Valle Aurelia fino a Casale Lumbroso. Due bagni ecologici “TOI TOI” di nuova concezione sono a disposizione dei viaggiatori o degli autisti che vi fanno sosta prima di riprendere le corse. Più in là, sulla destra verso l’interno della valle, due brevi rampe conducono ad un magazzino di materiali da costruzione: Edil Valle Aurelia.


  Via di Valle Aurelia conserva la vecchia pavimentazione fatta di sampietrini, le piccole pietre a forma di cuneo in uso anche in piazza san Pietro e presenti nella parte di pavimento che corrisponde all’ingresso nella chiesa parrocchiale intitolata a san Giuseppe Cottolengo. I due lati della strada presentano una folta vegetazione, che nessuno cura. Sono poche le macchine parcheggiate. Questo prova ancor più l’inutilità della chiusura della via per far posto ad un risicato parcheggio. In effetti ben oltre 26 macchine avrebbero potuto parcheggiare lungo via di Valle Aurelia. Sulla sinistra c’è il “Centro anziani” comunale, che dispone di quattro locali, uno dei quali non è agibile per infiltrazioni d’acqua, un altro è adibito ad ospitare gli appassionati dei giochi di carte, un terzo serve per la scuola di ballo ed un quarto è disponibile per altre attività: quasi non si riconosce lo spazio occupato dalla vecchia scuola elementare, bonificata dell’amianto ed anch’essa non più in funzione in loco ma trasferita a via Giacinto De Vecchi Pieralice, mentre per la scuola media si fa riferimento ad un istituto di piazza Pio XI.


  Uno spazio successivo, ancora a sinistra, è utilizzato per riparare le carrozzerie di automezzi e fornire altri servizi automobilistici (soccorso stradale, vetture di cortesia, ecc.). Ad un certo punto la strada è sormontata da un cavalcavia ferroviario appartenente alla tratta ora abbandonata che collegava la stazione di Valle Aurelia con lo Stadio Olimpico. All’ingresso di uno dei cancelli, sempre sulla sinistra, una figura di aquila in pietra resta testimone di un passato forse glorioso. Lungo il medesimo lato, c’è un cancello chiuso ma verosimilmente non in uso.


  Sulla destra all’altezza del numero civico 100 di via di Valle Aurelia c’è una palazzina condominiale. Vicino, al numero 98a, si trova un casotto in cui, come si deduce da una piccola scritta all’ingresso, era allocata una falegnameria.


  Tornando sul lato sinistro, al numero 29 c’è un garage all’aperto. Al numero 31 c’è un deposito di masserizie varie, lamiere, manufatti in legno.


  Al numero 116 c’è la residenza “Magnolia”, che si presenta in ottimo stato ed ha una facciata adorna di numerose bandiere di vari paesi.


  Poco dopo, lungo il medesimo lato, si vede quella che un tempo funzionava come Casa del Popolo (in via di Valle Aurelia 37), adattata da un preesistente lavatoio, ora occupata da famiglie di immigrati che hanno anche ampliato lo spazio coperto mediante un telone ed una piccola tenda. Dinanzi ad essa è stata posta una “pietra d’inciampo”, che ricorda il fornaciaio anarchico Alberto Di Giacomo (1886-1944) deportato a Mauthausen.


  Al piano terra delle Case Ciardi, a partire dal civico 126 e fino al n. 134, erano attive varie attività commerciali, qualche decennio fa. Per esempio proprio al n. 126 ancora si leggono alcune scritte: “olio d’oliva”, “olio di semi”, “aceto di vino”, “margarina”, “formaggio”, ecc., che indicavano la presenza di un negozio di alimentari. Ora molte saracinesche sono chiuse: gli interni appaiono vuoti. Ma qualche locale ha cambiato destinazione d’uso: per esempio è divenuto un laboratorio odontotecnico. Si riconoscono alcuni uffici non meglio identificabili. Più avanti c’era l’esercizio di un bar. Anche il meccanico di auto al n. 130f è andato via, lasciando il posto ad un ufficio. Al n. 132 c’è l’ufficio di una ditta di lavori edili per ristrutturazioni e restauri di edifici monumentali. Come soggiunge un intervistato residente a Case Ciardi, “è cambiato tutto”. E poi indica le case della vecchia borgata: “ora le stanno a ristrutturà. Prima hanno cacciato via quelli che c’erano”. E ricorda il continuo avvicendarsi di persone e famiglie che in passato occupavano quelle medesime case e poi riuscivano a farsi assegnare altre abitazioni. Precisa anche che un costruttore le ha comprate e risistemate per rivenderle. Una tale operazione, non certo abusiva e dunque regolarmente autorizzata, è ancora in atto, come si può notare dalle impalcature e dai lavori in corso. L’intervistato cita anche un ex borgataro che gli ha detto: “ma come? Io stavo lì dentro… io c’ho un pezzo di casa lì, che era la mia, che me la son fatta da solo, m’hanno cacciato via e mo’ se la son venduta loro”. Lo stesso intervistato non manca, infine, di formulare un giudizio sintetico sui borgatari. “erano brava gente”. Intanto in lontananza s’intravedono alcune baracche, quasi ultima reminiscenza della borgata, proprio al disopra della dismessa ferrovia Valle Aurelia-Vigna Clara.


  In via dei Laterizi sussistono ancora una fontana ed una struttura a forma di torre, che è ben restaurata e trasformata in villino: nel 1981 venne risparmiata dalla ruspa, insieme con molte altre case, che ora risultano ottimamente ristrutturate e più che dignitose. Soprattutto gli interni sono abbastanza curati. Gli spazi tutt’intorno sono ampi e ripuliti. Un edificio della medesima via funge da residenza, tipo bed and breakfast, per ospiti temporanei. Appositi uffici ne regolano l’afflusso. Il cortile interno è abbellito da molte piante, che adornano anche i balconi che vi si affacciano. All’intorno non esistono problemi di parcheggi: gli spazi disponibili sono più che sufficienti.


  Insomma non c’è la baraccopoli di un tempo ma un piccolo, grazioso villaggio. Anche davanti alla chiesetta esiste un grande spiazzo, all’incrocio fra via degli Embrici e via dei Laterizi. Soprattutto però via delle Ceramiche, in particolare nella parte che si inerpica verso la Pineta Sacchetti, è divenuta una zona con molto verde, muri ben intonacati e variopinti, talora arricchiti con marmi e pietre pregiate, come nella casa che fa angolo con via di Valle Aurelia.


  Sempre lungo via delle Ceramiche, al numero 56, s’incontra un cancello in ferro battuto con grandi lettere iniziali (probabilmente del nome e cognome del proprietario), una telecamera di sorveglianza, un cartello con la scritta “proprietà privata”. Insomma c’è da restare esterrefatti dinanzi ad un cambiamento così radicale da non lasciare nemmeno immaginare che qualche decennio fa fosse una zona abitata da gente misera, povera. La differenza maggiore è semmai la dominanza di un silenzio diffuso, quasi l’area fosse disabitata. Ci sono anche alberi da frutta, a beneficio dei residenti. Qua e là c’è qualche annuncio di “vendesi” ed “affittasi”. Invero i residenti sono tutti rinchiusi nelle loro magioni e si rendono visibili solo quando ne escono o vi ritornano. Assai diversa era l’atmosfera nel medesimo ambiente agli inizi della seconda metà del secolo scorso: vi ferveva un’intensa attività fatta soprattutto di scambi interpersonali, di incontri continui, di schiamazzi di fanciulli e fanciulle nelle stradine fra le baracche, di un vociare senza sosta. Un intervistato, alla metà degli anni Settanta, parlava dei suoi dirimpettai come se non ci fossero muri e porte, strade e cancelli. La vicinanza, la prossimità, la dimestichezza, la frequentazione erano esperienze quotidiane, diffuse e comuni, nonostante i disagi abitativi, la mancanza di acqua nelle case, l’umidità degli ambienti, la fatiscenza delle pareti e dei tetti.


  Ancora lungo via delle Ceramiche, al suo termine, al n. 91, la strada è interrotta da una villa con videosorveglianza e garage. Nella parte bassa e più pianeggiante della medesima strada si accede ad un giardino, denominato enfaticamente da un cartello come “Parco del Maresciallo”, chiuso da un cancello ma di uso pubblico ed al cui interno si ritrova una fontana, probabilmente la stessa che in passato alimentava l’intera baraccopoli e dalla quale tutti riuscivano ad attingere con un sistema semplice ed efficace di tubature in gomma. Tutt’intorno case basse ed edifici ad uno o due piani risultano abitati da soggetti di diversa provenienza: tra gli stranieri è riscontrabile un’importante quota di arabi, come si desume dai nomi e cognomi affissi sui citofoni e sui pulsanti dei campanelli elettrici.


  Un residente della valle in via delle Ceramiche, egiziano di origine ed aiuto-cuoco presso un noto ristorante del quartiere Prati, dice di pagare settecentocinquanta euro al mese per un’abitazione di quarantacinque metri quadri, con un regolare contratto di affitto. Aggiunge che in zona si trovano anche diversi libici.  


  Attualmente l’ingresso alla chiesetta ed al complesso annesso è sbarrato da un pesante cancello comandato elettricamente. Vi hanno sede l’UNITALSI (Unione Nazionale Italiana Trasporto Ammalati a Lourdes e Santuari Internazionali), sezione di Roma, e la Caritas romana. Vi è anche una “Casa Famiglia” della stessa UNITALSI che dispone di una quindicina di letti per alloggiare famiglie forestiere di bambini ricoverati in ospedali romani. Si celebra messa solo di domenica mattina (nella chiesa parrocchiale di san Giuseppe Cottolengo, a viale di valle Aurelia, sono invece quattro le messe celebrate nei giorni festivi, viene svolta anche un’attività di sostegno scolastico in forma di doposcuola e l’oratorio dovrebbe essere aperto per qualche pomeriggio). Non si registrano situazioni difficili, per esempio legate a problemi di tossicodipendenza o di microcriminalità. Sotto questo aspetto non vi sono state modifiche sostanziali. Le interazioni con il contesto umano circostante appaiono serene, non conflittuali, anche perché ridotte forse solo al minimo indispensabile. Il che non era allorquando il complesso parrocchiale ospitava alcuni sacerdoti ed un piccolo gruppo di suore, che intrattenevano rapporti con i residenti, sia offrendo il servizio liturgico, sia curando la formazione dei più piccoli con l’asilo infantile. Il che procurava occasioni di amicizia e solidarietà, ma talora anche di astio e contrapposizione sul piano sia politico che socio-economico.


  La valle ha subito cambiamenti cospicui soprattutto sul piano dell’edilizia abitativa. Scomparsa nell’estate del 1981 la vecchia baraccopoli, sono rimaste in piedi solo alcune case ad uno o due piani, adibite ad abitazioni private, come lo erano in precedenza, oppure ristrutturate in parte e riadattate per divenire un piccolo hotel, un residence, un bed and breakfast, un luogo diaccoglienza temporanea, dai nomi più diversi: per esempio Vatican Apartments. Invero la distanza dalle due stazioni di Valle Aurelia non è proibitiva, ma chi deve recarsi in valle è costretto a seguire solo il percorso lungo il marciapiede di destra, perché quello di sinistra si restringe più volte, è ostruito da residui vari, presenta un’intensa vegetazione quasi sin sulla strada.


  In linea di massima si può sostenere che siano due i principali poli abitativi principalmente connessi alla storia precedente della valle: da una parte, prospiciente la vecchia borgata, c’è il gruppo di costruzioni denominato Case Ciardi, di “civile abitazione”, dalle caratteristiche tipiche per la piccola e media borghesia, con più piani, molti balconi, posti per le macchine in un garage sotterraneo ricavato fra le fondamenta, una buona presenza di verde; dall’altra parte, quasi di fronte alle due stazioni denominate Valle Aurelia, insistono gli alti palazzi fatti costruire dall’Istituto Autonomo Case Popolari, dove alloggiano sia residenti provenienti dalla borgata di Valle Aurelia sia famiglie giunte da altri luoghi della capitale. Vi fa servizio l’autobus n. 892, che collega via di Valle Aurelia con via degli Aldobrandeschi (posta fra la zona della Pisana e la stazione Aurelia). L’area delle case dell’IACP è molto frequentata ed anche per questo ricca di negozi. Anche in tal modo si è creata un’ancor maggiore separazione dei condomini di Case Ciardi (in via di Valle Aurelia, a partire dai numeri civici 128 e 130). Questi ultimi, comunque, negli anni Settanta avevano sperimentato una certa frequentazione dei borgatari, grazie anche allo spazio d’intermediazione costituito dalla parrocchia, dall’asilo parrocchiale (tenuto da suore), dai locali parrocchiali con cinema, teatro, campo sportivo polivalente, nonché da varie iniziative (spettacoli, gare, gite, scampagnate nel Pineto). Ovviamente la frattura ora in atto ha interrotto definitivamente quel flusso che pure era iniziato nel contesto del vecchio insediamento. Non solo. Il dato di fatto è che neppure tra gli ex borgatari è possibile riallacciare quegli intensi rapporti cui erano abituati fino al fatidico anno 1981.  


  Ma soprattutto è cambiata la stratificazione sociale, che presenta situazioni più variegate, non agevolmente accertabili tanto sono complesse. A livello politico, in base alla risultanze elettorali dell’unico seggio per l’intera zona, prevale un orientamento di sinistra. Alle famiglie dei vecchi fornaciai sono subentrati i nuovi nuclei di ex borgatari provenienti da altre zone di Roma, di emigranti dal sud o extraeuropei, ma anche di piccoli borghesi (impiegati, commercianti, operai, ecc.). Nondimeno le condizioni di alcuni sono tali da costringerli a recarsi sul tardi al Mercato Trionfale, in via Andrea Doria, per usufruire di prezzi ridotti sull’acquisto di frutta e verdura.


  Adesso non si riconosce molto di quello che era la borgata dei fornaciai prima e dei lavoratori manuali poi. Non ci sono le abitazioni fatte di mattoni e lamiere, quasi tutte abbattute; non c’è il campo sportivo: non è in uso la fontana comune a cui da ogni casetta della borgata ci si collegava con un lungo tubo di gomma in qualsiasi ora del giorno (una vera e propria teoria di colori variopinti solcava il selciato); invero una fontana è in funzione ma si trova entro il cosiddetto “Parco del Maresciallo”, recintato, chiuso da un cancello; il capolinea dell’autobus dell’ATAC non vede più arrivare il “mitico” (così lo definisce un giovane intervistato) numero 51, un veicolo a dimensioni ridotte che portava sino a piazza Risorgimento, cioè “a Roma” come si diceva allora, negli anni Settanta ed Ottanta, ma un autobus ATAC della linea 495 giunge sino alla Stazione Tiburtina; non ci sono più i negozi, né al capolinea degli autobus (contraddistinto da una pensilina, con mappa della zona, e dalla presenza di due servizi igienici del tipo “TOI TOI”), né al piano terra delle Case Ciardi; sono stati chiusi il forno con la panetteria, il negozio di alimentari ed il bar con rivendita di tabacchi, nella piazzetta dove faceva capolinea l’autobus ATAC n. 51; non ci sono gli artigiani; non c’è più la scritta “Valle Aurelia ora e sempre resistenza” apposta sull’arcata di una tratta ferroviaria all’interno della borgata; la vecchia sede locale del Partito Repubblicano Italiano indicata con una piccola targa (ora eliminata) non è stata mai più aperta; la Casa del Popolo, nata su un precedente lavatoio e poi valorizzata da una lapide con foto di alcuni martiri delle Fosse Ardeatine, è attualmente divenuta la povera residenza di un paio di famiglie di origine sudamericana; le suore della Congregazione della Divina Provvidenza non accolgono più nel loro asilo parrocchiale i bambini della borgata e delle vicine Case Ciardi; sacerdoti e suore che abitavano nei locali adiacenti alla chiesetta della Divina Provvidenza sono andati via; il falegname ha chiuso la sua bottega; il fabbro-ferraio non fa più sentire il suono del battere del suo martello sull’incudine ed il rumore tipico delle saldature dei metalli. Solo un tappezziere sembra sopravvissuto alle vicende della valle negli ultimi decenni: al n. 132c di via di valle Aurelia. 


  Il piazzale dinanzi al complesso edilizio Ciardi è divenuto un grande parcheggio a cielo aperto, contornato da molti alberi, sottraendo peraltro spazio vitale al tempo libero dei ragazzi e dei giovani.


  La frequenza della parrocchia rappresentava in passato un momento di aggregazione. Oggi la presenza di personale religioso è sporadica e quindi non più in grado di creare motivi di compartecipazione, condivisione, interscambio tra famiglie e tra nuove generazioni.


  Anche l’azione militante ed aggregante del Partito Comunista prima e del Partito Democratico adesso  non ha certo il peso di qualche tempo fa. La sede della sezione, insieme con quella dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia e con altre forme associative (anche sportive), si è spostata in viale di Valle Aurelia 92 (dove ci sono pure tre bacheche che espongono il quotidiano l’Unità), in una palazzina posta quasi di fronte al complesso delle case popolari. Molto attiva è l’Associazione Culturale Villa Carpegna, in viale di Valle Aurelia 129, che collabora anche con la Biblioteca Comunale di Valle Aurelia. Nella medesima sede operano il Cine Club “Il raggio verde” ed un laboratorio teatrale.


  Un tentativo di recupero della precedente esperienza comunitaria di borgata è tuttavia nella creazione del “Punto d’incontro”, una struttura ricreativa, culturale, che occupa un ampio spazio sottostante una tratta ferroviaria sopraelevata, da tempo in disuso dopo il breve utilizzo durato una sola settimana durante i campionati mondiali di calcio nel 1990. Il “Punto d’incontro” offre la possibilità di praticare varie attività sportive nei campetti appositamente allestiti, ospita mostre, proiezioni, presentazioni di libri, conferenze, dibattiti, concorsi di diversa natura (riguardanti specialmente la valle). Un’altra struttura operante in zona è il “Centro anziani” (già scuola elementare), situato alla confluenza fra viale di valle Aurelia e via di Valle Aurelia e promosso dal Comune di Roma: presso il Centro Sociale Roma si svolgono attività ricreative e culturali varie, ivi compresi corsi di danza e ballo per adulti.


Conclusione


  Se in passato la borgata era considerata atipica per la sua contemporanea centralità (ai confini con la Balduina ed il quartiere Prati) e perifericità (per le sue caratteristiche tipiche di un agglomerato oltre il Grande Raccordo Anulare), oggi l’atipicità è confermata non solo dal nuovo genere di insediamento abitativo che connota l’area che fu della borgata ma anche da un succedersi temporale di diverse fasi di presenza sul territorio. Un segno visibile in tal senso è dato dal fatto che, all’incirca dopo le 20 e soprattutto successivamente, taluni luoghi posti a margini del tessuto abitativo della valle vengono occupati e presidiati da immigrati più o meno giovani e probabilmente senza dimora fissa. Si raccolgono presso un bar posto all’inizio di via Baldo degli Ubaldi e fronteggiante la fornace Veschi oppure lungo gli accessi alle due stazioni di Valle Aurelia od anche nell’area verde a fianco della chiesa parrocchiale di sant’Ambrogio in via Girolamo Vitelli, angolo via Giovan Battista Gandino. Sembrano altrettante sentinelle che nelle prime ore notturne presidiano tutta la valle nei pressi dei suoi accessi più frequentati (ferrovia e metropolitana, traffico automobilistico di entrata in viale di Valle Aurelia, mobilità motorizzata in uscita per riguadagnare l’importante arteria di Baldo degli Ubaldi o, ancora più su, la via Aurelia e la via della Pineta Sacchetti). 


  Il trattenersi di questi gruppi in tarda serata, per bere birra o vino o, forse, consumare droga diventa quasi un emblema dei contrasti legati alla stratificazione sociale. Se poi si aggiunge anche il gruppo di nomadi od altri abitanti che si celano a mezza costa di Monte Ciocci, in una decina di baracche[11], coperte dal verde lungo i pendii della linea ferroviaria Roma-Viterbo, l’accerchiamento è quasi completo, di fatto efficace perché controlla, per modo di dire, le “vie di fuga”. Dall’altro lato, verso la parte più interna della valle, non sarebbe facile avventurarsi: la strada s’interrompe, comincia il dominio della natura con alberi e verde, le poche case si rarefanno sempre più fino a scomparire del tutto.


  La composizione di questi gruppi è varia, ma si nota una costante presenza di rumeni. Si aggregano presumibilmente anche dei rom ma confermare tale dato non è agevole. Ci si deve limitare ad un’osservazione a distanza. Sulla stessa presenza di droga occorre cautela, anche se l si può ipotizzare in altra zona, più separata, a sé stante, forse non lontano dalla piazzetta che si trova in fondo a via di Valle Aurelia, dove fa capolinea e conversione ad U l’autobus 495.


  Ma soprattutto c’è da concludere che ormai la borgata di Valle Aurelia non c’è più, anche perché non vi è una percezione di comunità condivisa. Oggi sarebbe inimmaginabile una tavolata comune, come era usanza nella vecchia borgata.   


     Roberto Cipriani*


* Sono molto grato alla Prof.ssa Laura Tini, già titolare di Sociologia dell’Educazione nell’Università di Roma “La Sapienza”, per aver condiviso con me l’esperienza di ricerca sul campo e per i preziosi suggerimenti relativi alle dinamiche pregresse ed in atto.




[1] Cfr. M. Vaquero Piñeiro, L’università dei fornaciai e la produzione dei laterizi a Roma tra la fine del ‘500 e la metà del ‘700, «Roma moderna e contemporanea», IV, 2, 1996, pp. 471-494.


[2] Cfr. E. P. Rodocanachi, Les corporations ouvrières à Rome depuis la chute de l’empire romain, Paris, Picard, 1894, pp. 433-438.


[3] Cfr. L. Giustini, Fornaci e laterizi a Roma dal XV al XIX secolo, Roma, Kappa, 1997, pp. 16-17.


[4] Cfr. P. Masini, Il Borgo dei fornaciai fuori Porta Cavalleggeri: evoluzione di un territorio suburbano, Roma, Comune di Roma, 1982.


[5] Cfr. R. Glass, London: Aspects of Change, London, Mac Gibbon & Kee, 1964.


[6] Cfr. J. J. Palen, B. London, Gentrification, Displacement, and Neighborhood Revitalization, New York, SUNY Press, 1984.


[7] Cfr. N. Smith, P.,Williams, Gentrification of the City, Boston, Allen and Unwin, 1986.


[8] Cfr. L. Freeman, There Goes the ‘Hood. Views of Gentrification from the Ground Up, Philadelphia, Temple University Press, 2006.



[9] Cfr. A. Collet, Rester bourgeois : les quartiers populaires, nouveaux chantiers de la distinction, Paris, la Découverte, 2015; L. Lees, H. Bang Shin, E. Lopez-Morales (eds.), Global gentrifications: uneven development and displacementBristolChicagoPolicy Press, 2015; J. Brown-Saracino, A Neighborhood that Never Changes: Gentrification, Social Preservation, and the Search for Authenticity, Chicago, University of Chicago Press, 2010; K. Paton, Gentrification: A Working-Class Perspective, Burlington-Farnham, Ashgate, 2014; G. Bridge, T. Butler, L. Loretta (eds), Mixed CommunitiesGentrification by Stealth?, Bristol, The Policy Press, 2012; L. Lees, T., Slater, E. Wyly, Gentrification Reader, New York-London, Routledge, 2010; R. Atkinson, Introduction. Misunderstood Saviour or Vengeful Wrecker? The Many Meanings and Problems of Gentrification, «Urban Studies», 40, 2003, pp. 2343-2350;N. Smith, New Globalism, New Urbanism: Gentrification as Global Urban Strategy, in N. Brenner, N. Theodore (eds.), Spaces of Neoliberalism, Oxford, Blackwell, 2002, pp. 58-79; N. Smith, J. Hackworth, The Changing State of Gentrification, «Tijdschrift voor Economische en Sociale Geografie», 92, 4, 2001, pp. 464-477; C. Hamnett, Gentrification, Postindustrialism, and Industrial and Occupational Restructuring in Global Cities, in G. Bridge, S. Watson (eds.), A Companion to the City, Oxford, Blackwell, 2000, pp. 331-341;T. Butler, Gentrification and the Middle Class, Aldershot, Ashgate, 1997; D. Ley, The New Middle Class and the Remaking of the Central City, New York, Oxford University Press, 1996;N. Smith, The New Urban Frontier: Gentrification and the Revanchist City, London, Routledge, 1996; N. Smith, P. Williams, Gentrification of the City, Boston (Mass.), Allen & Unwin, 1986.


 


 


 


[10] Cfr. E. W. Burgess, The Urban Community, Chicago, University of Chicago Press, 1926.


[11] Di tanto in tanto si assiste ad uno sgombero di queste baracche, ma dopo qualche tempo vengono rimesse in piedi e riutilizzate dagli stessi nomadi di prima o da altri ancora.