UNA SOCIOLOGIA DELLA POESIA

Roberto Cipriani


Prefazione


            Esiste una sociologia della poesia? Finora sembra non ve ne sia traccia. Ma esiste poi una sociologia dell’intellettuale-poeta? Forse sì, specialmente se rientra nella più vasta sociologia degli intellettuali che tanta parte ha avuto ed ha nella sociologia della conoscenza. C’è tuttavia da chiedersi se non si debba più correttamente far ricorso alla sociologia della letteratura (e quindi della poesia, che ne è parte costitutiva). Fatto sta comunque che una sociologia della poesia non è stata finora messa a tema e che dunque questo lavoro di Milena Gammaitoni apre un filone nuovo nel campo degli studi sociologici, a partire da un caso emblematico e ormai noto anche in Italia, quello della poetessa polacca Wislawa Szymborska, oggi ottanduenne.


            La poesia è oltretutto un vero e proprio bene culturale e come tale va trattata. Segnatamente essa costituisce un apparato simbolico che deve essere debitamente interpretato, decriptato, il che nel caso della Szymborska ben si attaglia, per il carattere allusivo, ermetico in certi aspetti della sua produzione poetica. Ma la contestualizzazione e la conoscenza della biografia della poetessa aiutano molto nell’operazione ermeneutica. L’operazione di decodifica per rendere accessibile il suo patrimonio intellettuale non è agevole, ma una volta raggiunta la meta di una lettura almeno plausibile si toccano vertici non facilmente attingibili in altri casi consimili.


            C’è nell’intellettuale polacca la forza dell’ex militante disillusa, che guarda alla vita con cinismo pari a sufficienza e nondimeno riscuote consensi ed attenzioni che riempiono i teatri in occasione della lettura delle sue opere e svuotano gli scaffali delle librerie dove le sue raccolte di poesie sono in vendita.


            Nel suo caso non si riesce a capire se il successo sia più dovuto ai suoi critici od al suo pubblico. Certamente la vincita del premio Nobel per la letteratura ha prodotto, in meno di un decennio, esiti imprevedibili in termini di diffusione della sua opera, a livelli raramente raggiunti da antologie poetiche.


            Probabilmente ha molto giovato a Wislawa la sua scelta d’indipendenza assoluta, quasi di isolamento dal mondo circostante, anche come presa di distanza dal regime comunista che l’aveva vista protagonista non secondaria. E dunque questo suo essere schiva le ha giovato, ne ha fatto un personaggio a tutto tondo, cosicché ogni sua comparsa in pubblico è davvero un evento.


            Per vivere questa autonomia la poetessa ha bisogno di darsi norme rigide da rispettare, a dispetto di sollecitazioni, inviti, allettamenti di ogni genere. Ma nella sua condizione, coscientemente costruita, ella si può permettere, come si suol dire, questo ed altro. Il fatto è che la sua notorietà è abbastanza singolare: ella non è diventata famosa solo per le tirature delle sue pubblicazioni o per il prestigioso premio attribuitole o per l’apprezzamento del pubblico o per le valutazioni estetiche dei colleghi letterati. Ella ha potuto mettere insieme un po’ tutto questo e raggiungere quindi una posizione assoluta nello scenario sia nazionale polacco che internazionale europeo e mondiale (tradotta com’è in tantissime lingue, una quarantina).


            Per di più la Szymborska è un soggetto che prende posizione, non si arrampica sugli specchi delle circonlocuzioni, dei distinguo, dei mascheramenti retorici, dei rinvii eruditi. Il suo esprimersi riflette in pieno le caratteristiche della donna che si rivolge al grande pubblico, si fa avanguardia di un modo di pensare e riflettere sulla realtà, si prende gioco degli interessi e delle convenienze, sottraendosi così a facili lusinghe e giudizi di valore interessati.


            Ella è poetessa civile a tutto tondo. Incarna lo spirito della pensatrice libera, scanzonata quasi ma competente, anzi più che informata sul piano della cultura universale, che dalla sua casa-studio ella guarda con interesse ma senza entusiasmi. La sua libertà di giudizio è pari alla sua scioltezza di linguaggio, al suo dominio straordinario della parola. La sua opposizione alle correnti dominanti è netta e senza riserve. La contestazione dello status quo è la sua battaglia personale, il suo engagement, la sua organicità alla realtà umana.


            Szymborska si fa voce per tutte e tutti, ripropone la sua esperienza che però entra immediatamente in sintonia con quella di altre persone, donne in primo luogo, com’è agevole immaginare. La sua moralità non appare ideologicamente orientata e si fonda su un approccio critico al mondo contemporaneo nelle sue diverse formulazioni (cfr. a pag. 103, fra l’altro, L’odio, del 1993).


            Una sociologia applicata al contributo letterario della poetessa polacca difficilmente riuscirebbe a catalogarla in una tassonomia predefinita di intellettuali più o meno innovativi, più o meno conservatori, più o meno utopici. Invero ella è ben lontana dall’essere una corifea di regime (qualunque esso sia) ed una semplice umanista dal linguaggio forbito ed accattivante. Bisogna conoscere bene la sua biografia (non solo intellettuale) per meglio apprezzare la donna, la polacca, la poetessa, la comunicatrice. Tra queste diverse modalità non c’è contraddizione ma tutto si compone in un unicum che fa della Nostra una figura eccentrica, fuori della norma, imprevedibile. Non le interessano le posizioni dei suoi mentori o dei suoi elogiatori o dei suoi detrattori. Ella rimane sempre e comunque se stessa.


            Per questo la Szymborska resta invero un personaggio difficile da analizzare e da presentare sul piano più specificamente sociologico. E dunque si deve essere grati a Milena Gammaitoni che offre qualche bandolo per sbrogliare la complicata matassa di una donna estrema, fuori catalogo quasi. Altrimenti si resterebbe nell’impasse di un approccio incompiuto, infondato ed estemporaneo. Quel che è certo tuttavia è proprio l’irriducibilità della letterata a schemi prestabiliti, a canoni noti, a giudizi previi.


                                                                                                          Roberto Cipriani


                                                                                                      (Università Roma Tre)


P. S.: Immediatamente dopo aver finito di scrivere questa prefazione ho visto il film Cuore sacro, nel quale la giovane protagonista del primo tempo lascia cadere fuori dal suo zainetto proprio una raccolta di poesie della Szymborska: chiara allusione al fatto che il punto di vista del regista turco Ferzan Ozpetek è in linea con il pensiero della poetessa polacca.