Globalizzazione e cittadinanza

Roberto Cipriani


Premessa


Non molti sanno che anche chi possiede più di un requisito per accedere alla cittadinanza nel nostro Paese in realtà si trova poi di fronte ad ostacoli insormontabili, ad una burocrazia lenta e scarsamente attenta alle esigenze della persona e soprattutto dinanzi ad una discrezionalità che arriva a negare anche i diritti più sacrosanti.


Ad esempio qualcuno o qualcuna può nascere in Italia da genitori immigrati (conviene dunque evitare la dizione generica di extracomunitari, che è un falso ideologico nel senso più ampio del termine: non c’è più la Comunità Europea bensì l’Unione Europea e poi quella che appare preminente è la comunità umana, dalla quale nessuno può considerarsi escluso). Ebbene chi nasce in Italia da genitori che non hanno la nostra stessa cittadinanza è costretto ad aspettare sino al diciottesimo anno di età per poter fare domanda, tesa alla concessione di un tale riconoscimento.


Non solo la persona, pur nata nella penisola, ha da aspettare tanto tempo, ma vi deve provvedere entro un certo numero di mesi dal compimento dell’anno fatidico dell’ingresso nell’età adulta, altrimenti perde ogni diritto.


Ma soprattutto, anche se ogni requisito è posseduto e dimostrato, tuttavia l’autorità preposta può rifiutare la concessione della cittadinanza, adducendo un qualunque motivo, magari generico, non circostanziato e non necessariamente provato. Insomma la volontà di un esecutore della normativa in vigore può giungere a deludere ogni aspettativa legittima, a prescindere dalle esigenze del richiedente (o della richiedente) e dalle sue effettive condizioni di inserimento nella società italiana (di solito si  tratta di una persona largamente radicata, attraverso il pieno padroneggiamento della lingua, l’acquisizione di titoli di studio (anche di maturità) a livello di scuole secondarie superiori e la partecipazione attiva alla vita sociale del nostro Paese.


Questo stato di fatto è una palese contraddizione di tanti articoli della nostra costituzione, ma in primo luogo della stessa dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (e della donna).


Gli effetti della globalizzazione


Non è un caso che il tema della cittadinanza (o, meglio, delle cittadinanze) riemerga ora, in tempi ben lontani dalla citoyenneté della Rivoluzione Francese, riproponendo questioni di fondo relative alla conduzione dello Stato, all’appartenenza alla società civile, all’accoglienza degli ospiti stranieri.


Si fa un gran parlare di riforma della legge sulla cittadinanza, del diritto di voto agli stranieri, delle rappresentanze locali degli immigrati, della possibilità di accesso alle strutture sanitarie ed ai servizi di Welfare State, da allargare pure ai soggetti non riconosciuti come italiani.


In verità la discussione sul concetto di cittadinanza, in base alle nuove istanze, è appena cominciata ed è dunque lungi dal potersi considerare esaurita. In altri Paesi sono state escogitate soluzioni molteplici: il melting pot, il crogiolo o miscelatore, che tutto mischia e frulla senza lasciar più riconoscere gli elementi originari, oramai mascherati da un’unica ed indistinta poltiglia; il salad bowl, o insalatiera, che mette tutto insieme, non mescola, pone solo a contatto ma rispetta le diversità; il mosaic, che lascia intatte le singole parti, le tessere separate, che però solo unite fra loro danno luogo ad una composizione unica, riconoscibile, identificabile, comune.


Le prime due soluzioni hanno visto continui fallimenti, la terza pare più promettente, almeno nella misura in cui consente di valorizzare e non di stigmatizzare le differenze, offrendo una soluzione alternativa allo scontro fra le civiltà paventato da Samuel Huntington ed invece trasformato in incontro di civiltà in un documento firmato di recente dal leader spagnolo Zapatero e da quello turco Erdogan, fra gli altri.


Oggi, in Italia ma pure altrove, sempre più la comunità dei residenti tende a non coincidere con la comunità dei cittadini. E dunque si pongono problemi di cittadinanza, di condivisione delle risorse, di compartecipazione ai servizi, di solidarietà civile.


La cittadinanza attiva


Sullo sfondo si affacciano in modo vieppiù vistoso questioni legate alla fiducia, all’impegno pubblico ed ai valori civili. Proprio su questi punti si confrontano varie alternative di cosiddetta cittadinanza attiva che fa leva sul capitale umano e sociale di tutti i soggetti coinvolti, indipendentemente dallo status civile posseduto e documentato.


Enti pubblici ed associazioni di volontariato sociale si stanno facendo protagonisti di una nuova stagione di promozione della cittadinanza, ben al di là delle legittimazioni giuridiche, che di solito giungono solo a rimorchio ed in ritardo rispetto a situazioni di fatto create da soggetti interessati al mutamento dello statu quo.


La conquista della cittadinanza piena non può non implicare processi formativi adeguati e mirati, segnatamente attraverso una mediazione fra la scuola ed il territorio, in modo da ridurre gli effetti devastanti di una globalizzazione spinta, male compresa e peggio subita.         


Esperienze precedenti, ad esempio con i nomadi presenti sul territorio italiano, non hanno sortito effetti promettenti, anche perché non è stata debitamente compresa la natura reale della cultura Rom, tanto per fare un esempio ancor più concreto. Come riferirsi a leggi scritte quando si tratta con soggetti che fondano tutto sulla tradizione orale, sulla lingua parlata, sui costumi tramandati? 


L’incontro più efficace è quindi quello fra le persone, ancora prima di quello cui partecipino le istituzioni.


Il fulcro dell’approccio si fonda sulla fiducia reciproca, data e ricevuta. Partendo da questa sinergia è praticabile un cambiamento sostanziale, dovuto ad una forte relazionalità interpersonale, che fa leva essenzialmente sul capitale sociale messo in capo dai singoli soggetti.


Tale capitale sociale concerne le relazioni tra gli individui e dunque le reti sociali all’interno della comunità. Attraverso di esse le connessioni possono essere sia di tipo inclusivo che rafforzativo. In tal modo anche la cittadinanza attiva diventa l’agire di persone che associandosi intervengono nello spazio pubblico, fanno promozione sociale, favoriscono l’empowerment in vista del riconoscimento dei diritti.


Tutto ciò può tendere ad aumentare la circolazione della fiducia, la partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica, l’intervento degli individui nella vita sociale, l’incremento delle azioni non conflittuali ma piuttosto pacifiche.


Nondimeno il problema principale rimane quello della consapevolezza dei diritti come pure degli obblighi, in chiave di lealtà e di impegno. Sullo sfondo persiste comunque il tema della formazione alla cittadinanza rivolta alle giovani generazioni di oggi. Invero in Italia la scuola sinora ha educato poco alla cittadinanza (basti pensare al ruolo effettivo dell’insegnamento dell’Educazione Civica, relegata ad essere ancella della Storia, senza alcuna autonomia e valenza specifica). In questo l’Italia si distingue in negativo nel panorama dell’Unione Europea, in quanto non ha un preciso programma di trasmissione della sensibilità civica.


Tra gli alunni peraltro si attende un atteggiamento corretto da parte degli insegnanti, ma al tempo stesso non si ha fiducia nelle istituzioni.


In definitiva si registra un forte difficoltà nella pratica della cittadinanza, in quanto riescono difficili sia l’identificazione nazionale che quella transnazionale. Inoltre la partecipazione si concentra su forme associate specifiche e non sempre prosegue fino alle forme istituzionali. La cittadinanza resta dunque un affare delicato, fonte di inquietudine ma anche motivo di sicurezza e di forte appartenenza.