Fondamenti di una teoria della religione diffusa

Fondamenti di una teoria della religione diffusa

di Roberto Cipriani (Università Roma Tre)

  1. Premessa

La sociologia non può fare a meno di dati empirici o di un contributo teorico per interpretare le informazioni che raccoglie. Si parte solitamente dalla teoria (Abrutyn 2016: 1-15) per poi valutare l’esito del lavoro svolto sul campo. Ma, nel nostro caso, il percorso scelto, non meno arduo e non meno scientifico, si muove nella direzione opposta. Infatti, solo dopo aver raggiunto il culmine del tentativo di delineare una teoria che appare applicabile ai casi specifici esaminati, questa può essere estesa ad altre aree di fenomeni simili a quello della religione diffusa.

  • La costruzione di una teoria

L’elaborazione di una teoria, in questo caso sociologica, comporta la preparazione e la definizione di alcune affermazioni come tessuto connettivo, ordito e trama dell’intera proposta teorica (Beckford 2011). Non si può quindi pensare in termini di generalità e nemmeno avvalendosi di espressioni puramente ipotetiche, poiché l’intero impianto teorico richiede basi solide, inequivocabili e chiaramente presentate.

Ciò significa che una teoria dovrebbe mirare principalmente a fornire una particolare illustrazione della realtà. Questo dovrebbe garantire che una teoria sia meglio definita, più omogenea e, quindi, meglio in grado di competere su un piano di parità con altre e diverse proposte teoriche.

La ricerca della compattezza assertiva non può avvenire a scapito del riferimento alla realtà empirica. Il circolo virtuoso tra teoria e dati dovrebbe rimanere sempre in vigore. Occorre, quindi, trovare un insieme di affermazioni di alto livello, che non sono del tutto virtuali, cioè estranee alle situazioni di fatto. Il collegamento a un riferimento fenomenologico è obbligatorio perché è da lì che le nozioni essenziali danno avvio alla teoria.

Per elaborare una prospettiva teorica di base, l’astrattezza è effettivamente necessaria, anche se non del tutto. Essa trae benefici anche se, a volte, solo limitati, da altre condizioni. Richiede, ad esempio, che le affermazioni contenute in una teoria siano anche esplicite, comprensibili, senza riserve, senza arrière pensée, insomma, prive di escamotages che facilitino i cambiamenti di direzione durante il processo teorico-interpretativo.

La struttura di una teoria dovrebbe, quindi, evitare il generico, pur continuando a mantenere un livello di generalità tale da impedire di trasformare ciò che è stato faticosamente prodotto in una serie di fallimenti, dovuti semplicemente, forse, a dettagli eccessivamente minuti, inclusi nel quadro teorico complessivo ma che non riescono a reggere quando applicati a situazioni molto complesse e imprevedibili. La generalità è utile, quindi, se mantiene un livello sufficientemente alto da incorporare, minimizzare e rendere irrilevanti alcuni dettagli minori, di importanza trascurabile rispetto alla formulazione teorica nel suo complesso.

Inoltre, una teoria non deve cedere a formule rapsodiche estemporanee, quelle isolate dalle altre, scollegate e disorganizzate rispetto al quadro complessivo. Una sequenza solida e precisa di postulati (proposizioni che possono essere considerate “ovvie”), che indicano le relazioni che ne derivano ed individuano collegamenti, appare, quindi, del tutto efficace. Una teoria è tale in quanto è ben coordinata internamente, organizzata sulla base di legami precisi, evidenti o opportunamente indicati. Così, il postulato teorico appare come un meccanismo ben funzionante, senza troppi intoppi, ben registrato nel suo complesso e calibrato per quanto riguarda le sue caratteristiche.

Infine, una teoria valida e plausibile potrebbe essere costruita attraverso espressioni astratte che dovrebbero, tuttavia, rimanere intelligibili, orientate secondo uno schema generale, le cui parti siano correlate tra loro a livello logico, in modo da poter fornire le migliori soluzioni possibili a livello metodologico. Si potrebbe anche dire che una teoria è una costellazione contenente una miriade di stelle, ciascuna al proprio posto, in modo tale da costituire una configurazione unica che non può essere confusa con nessuna altra. Tuttavia, ogni stella occupa una posizione ben definita, ad una certa distanza da tutte le circostanti, pur mantenendo una forte relazione con tutte. Lo spostamento (o scomparsa) di una di queste stelle influenzerà necessariamente ciascuna delle altre componenti dell’intera costellazione. Per lunghi periodi di tempo, si può assistere a mutazioni che appaiono minime all’inizio, anche se le conseguenze possono rivelarsi macroscopiche nel lungo periodo. Allo stesso modo, in teoria, le singole affermazioni giocano un ruolo contemporaneamente definitorio e regolativo. Ogni affermazione teorica è plasmata in modo tale da preservare la sua natura organica rispetto al resto dell’intera teoria, per un tempo tendenzialmente lungo.

Una teoria simile sarà in grado di spiegare i fenomeni in virtù della sua fondamentale compattezza.

Va sottolineato che una teoria è tipicamente un insieme in grado di coprire quasi tutte le formulazioni teoriche di tipo generale. Questo è il modo in cui una teoria dovrebbe essere trattata, prestando attenzione ad ogni fase delle diverse fasi della sua costruzione.

Prima di tutto, ci sono i termini da usare; queste sono le vere e proprie cellule di base dell’intera struttura. Data la loro natura preliminare, è essenziale fornire una definizione precisa per ciascuna di esse fin dall’inizio. Poi bisogna usare questi termini, definiti in precedenza, con la massima precisione, per formulare affermazioni che possono avere contenuti diversi. Le affermazioni possono essere ipotetiche (senza, tuttavia, confonderle con le ipotesi di lavoro più classiche) o discriminatorie (dove un elemento è prevalente, un altro apparterrà alla minoranza, o se un certo elemento è marginale un altro sarà invece chiaramente identificato).

Dopo aver chiarito i termini iniziali e stabilito le affermazioni di base, si deve passare ad una serie di argomenti, che coinvolgono una serie di ragionamenti successivi. È forse la fase argomentativa la più delicata di tutti i processi utilizzati per costruire la teoria. Si compone di semplici proposizioni, o di assunzioni o presunzioni, di premesse di tipo introduttivo, ma anche di veri e propri postulati specifici (proposizioni che sono consentite senza dover essere dimostrate), o di assiomi (principi universalmente accettati). Avvalendosi di tutto questo insieme razionalizzante si arriverà, alla fine, alle conseguenze, ai precipitati ultimi, alle derivazioni, alle conclusioni, ai teoremi (proposizioni da provare attraverso l’inferenza), in breve, un insieme di caratteristiche volte a fornire una spiegazione dei fenomeni esaminati sulla base della teoria.

Vi è, tuttavia, un inevitabile corollario: la teoria deve essere sottoposta a condizioni applicative specifiche, cioè ad affermazioni, preferibilmente provvisorie in questo caso, che dovrebbero aiutare a stabilire, appunto, i criteri di usabilità della teoria.

Il nostro sforzo di costruzione della teoria, tuttavia, non finisce qui. Occorre effettuare controlli, per conferire un alto livello di credibilità all’intera teoria. In primo luogo, la teoria non deve contenere contraddizioni, ambivalenze o ambiguità. Dovrebbe coprire una vasta gamma di fenomeni (espungendo, allo stesso tempo,  l’eccessiva astrattezza), mantenere una prospettiva piuttosto generale (come la previsione di numerose applicazioni, contesti diversi, prove di stabilità), tendere verso un certo grado di precisione (con riferimento obbligatorio a luoghi e tempi almeno) e infine dovrebbe avvalersi di un grado di condizionalità possibilmente casuale e vago (senza entrare in descrizioni dettagliate). Non è facile contare sulla qualità costantemente elevata e conclusiva di ciascuno dei passi qui elencati, ma occorre custodire con fermezza almeno l’essenziale del difficile compito di costruzione teorica.

  • Un approccio iniziale alla teoria della religione diffusa

Dobbiamo determinare quali termini usare per iniziare a costruire la teoria della religione diffusa. Partiamo dal termine religione. Quest’ultimo è così ampio, inclusivo e variegato che implica un trattamento specifico per stabilire confini, significati ed usi. Inoltre, pure la categoria di religiosità ha bisogno di essere trattata in modo analogo, anche se offre il vantaggio di essere più “localizzata”, cioè empiricamente rilevabile sulla base di comportamenti reali. Simmel (1997), che ha messo a confronto questo termine con la religione, ha definito quest’ultima come storicamente costituita in organizzazioni religiose (principalmente la Chiesa istituzionale). Ma la nozione di Simmel ci porterebbe un po’ fuori strada dalla nostra prospettiva fondata empiricamente perché presupporrebbe l’esistenza di una data naturalezza nell’atteggiamento religioso, supposta come presente a livello universale.

Il nostro concetto di religione diffusa è affrontato in un contesto che riguarda i riti, i gesti, la comunicazione, la percezione, l’emozione, i valori di riferimento, l’uso della preghiera, il richiamo ai simboli, le distinzioni tra bene e male, il senso della vita e della morte, le azioni quotidiane, il lavoro e le esperienze familiari. All’interno di questa vasta gamma di orizzonti tematici, la religione diffusa agisce, a volte esplicitamente, a volte implicitamente, come filo conduttore.

Cercheremo, tuttavia, di fornire una definizione iniziale approssimativa, nonostante i limiti che essa comporta. Una teoria basata sui dati, cioè fondata sull’indagine empirica, rischia di essere piuttosto debole per quanto riguarda la durata o l’applicabilità. Sono necessarie più ricerche e, quindi, più operazioni di bilanciamento e calibrazione, per “registrare” ogni dettaglio. Non è quindi inconcepibile che il primo tentativo di costruire una teoria possa non riuscire a raggiungere un quadro teorico immediatamente affidabile e degno di considerazione. Ancora una volta occorre procedere per tentativi ed errori, puntando però ad obiettivi graduali che sono contemporaneamente cumulativi delle conoscenze precedenti.

È quindi con la massima cautela che va intrapresa e completata una prima proposta teorica. Le affermazioni provvisorie relative alle condizioni applicative della teoria iniziale (per così dire) devono essere semplici e poco numerose, in modo da consentire un’ulteriore facile espansione ed anche cambiamenti (pur minimi) durante i passaggi successivi, in particolare nella predisposizione di nuove proposte. In realtà, la costruzione teorica è un’attività scientifica costante, continua e ininterrotta, svolta con i lavori sempre in corso.

Torna opportuno, quindi, non utilizzare chiarimenti dettagliati e accurati sulle condizioni di applicabilità della teoria proposta. È anche utile parlare di condizionalità generale, non di condizioni specifiche. Per questo motivo ci si deve limitare a poche indicazioni.

La costruzione della teoria si basa, in parte, su un insieme di significati già individuati da Robert King Merton (1949) in Teoria sociale e struttura sociale, in particolare per quanto riguarda l’analisi di concetti (o termini) e di interpretazioni post factum (considerate successive a ricerche empiriche), di generalizzazioni empiriche (raggiunte grazie allo studio sul campo), di derivazioni (come risultato di corollari presenti in proposizioni precedentemente formulate e dimostrate), di codificazioni (che attraverso l’induzione dal particolare permettono di enunciare proposizioni di carattere generale) e infine di teoria in senso stretto, costruita su proposizioni che costituiscono qualcosa di sistematico.

Tutto ciò genera conseguenze da confrontare con i dati fattuali, chiudendo così il circolo virtuoso, partito dall’analisi empirica, che ha portato alla teoria e da lì di nuovo ai dati raccolti. Questo è il percorso seguito fino ad oggi per formulare la teoria della religione diffusa, che si differenzia peculiarmente dal paradigma perché non si ferma a livello di linguaggio interamente metaforico ma si rivolge più direttamente alla realtà sociale stessa, fondamento essenziale della teoria, suo punto di partenza, suo fondale, suo scenario.

La religione diffusa è una teoria in senso proprio perché deriva la sua forza propulsiva da un insieme di proposizioni interdipendenti in grado di produrre conseguenze che possono essere confrontate con le informazioni empiriche disponibili. Va sottolineato che non è prevista alcuna ipotesi di lavoro preliminare, ma essa si concretizza durante la costruzione della teoria, facendo ruotare l’analisi e le successive interpretazioni intorno a concetti sensibilizzanti, prospettiva suggerita da Blumer (1954). Tali concetti chiave non dovrebbero essere definiti prima dell’inizio dell’indagine, ma dovrebbero nascere solo alla fine del lavoro sul campo e quindi derivare da sollecitazioni concrete emergenti durante le operazioni che portano all’acquisizione dei dati in questione. Pertanto, le ipotesi non hanno senso, almeno entro certi limiti, mentre le prove empiriche vengono prese in piena considerazione.

Come misura preliminare e provvisoria, si cerca di giungere a conclusioni che appaiono più utili alla costruzione della teoria. Seguendo un excursus il più ampio e approfondito possibile, si può tentare di raggiungere una sintesi teorica di ciò che va sotto il nome di religione diffusa. A questo punto, i dati forniti devono apparire scientificamente affidabili o sufficienti, almeno per corroborare il modello teorico di riferimento.

In primo luogo, vanno identificati gli elementi fondamentali, vale a dire i concetti di base, i termini generali primari, che in questo caso sono, in ordine di priorità, cultura (come appartenenza culturale), religione e, naturalmente, diffusione. Come si sa bene, ci sono molte definizioni di cultura e religione. Tuttavia, sembra più utile in questo caso non scegliere una definizione specifica, per allargare il più possibile la prospettiva empirica. Il concetto di diffusione sarà più chiaro durante la continua discussione sulla teoria della religione diffusa.

Seguiranno poi i termini particolari primari, identificabili come socializzazione religiosa e inculturazione di valori (transizione/trasmissione di valori). L’inculturazione dei valori culturali nei bambini da parte dei genitori si basa su una rete di etica, tradizioni, principi, valori, idee ed elementi spirituali che, di fatto, gettano le basi di quello che sarà poi l’individuo a contatto con il sistema educativo; in altre parole, viene intenzionalmente indirizzato dai suoi più cari ad inserirsi e sapersi muovere nella società e quindi ad affrontare le sfide della socializzazione interpersonale al di fuori dell’ambiente familiare e più in particolare con i suoi coetanei e con gli adulti che svolgono il ruolo di educatori (a scuola, nel tempo libero, nelle attività religiose e nelle forme di comunicazione sempre più globalizzate).

I termini particolari secondari sono credenza e appartenenza o adesione religiosa. La resilienza della credenza religiosa sembra più forte nelle grandi religioni in termini di aderenti. I periodi di crisi di appartenenza permettono anche ad altri gruppi di nascere, svilupparsi e diffondersi. Nelle religioni a diffusione locale si può registrare una crescita cospicua a causa, ad esempio, di alcune contingenze storiche. A volte i mass media favoriscono questo tipo di crescita dell’appartenenza.

Per quanto riguarda i termini propositivi, si può dire che se c’è una religiosità iniziale riguardo alla sensibilità verso il sacro, allora, molto probabilmente, troveremo qualche forma di partecipazione ai riti e che un soggetto che non è orientato alla religione difficilmente presterà attenzione alle celebrazioni religiose. La tendenza principale è quella di una minore rilevanza delle strutture religiose.

Quindi, la natura di questo tipo di espressione religiosa sembrerebbe essere più individuale che istituzionale, secondo la teoria jamesiana della dicotomia tra religione individuale e istituzionale (James 1961; Royce 1912). Con il passare dei secoli e dei millenni, si trovano nella religione istituzionale non solo segni di indebolimento ma anche di rafforzamento dovuti a particolari situazioni storiche, ma è improbabile che una religione sufficientemente istituzionalizzata possa improvvisamente perdere la sua consistenza o la sua attrattiva.

Infine, ma non meno importante, la religione diffusa può occupare lo spazio lasciato libero a causa di delusioni e disincanto per la perdita di credibilità di precedenti influenze: ideologiche, politiche, lavorative, culturali, economiche, sessuali, sportive e non solo. Così, la religione diffusa assume il ruolo di sostituto funzionale di altri riferimenti attitudinali e comportamentali.

Per quanto riguarda gli argomenti, si può affermare che, nella misura in cui una certa religiosità individuale è all’opera, si nota l’effetto specifico della religione diffusa in termini di credenza, di un significativo tasso di pratica religiosa (in particolare sotto forma di preghiera, privata e/o collettiva a seconda dei casi) e di un maggior grado di impegno sociale e religioso nella vita quotidiana, che differisce a seconda dell’età (l’impegno religioso e sociale è meno pronunciato e meno evidente tra i giovani).

In questo contesto, un ruolo chiave è giocato dalla convinzione ricevuta attraverso la socializzazione e l’inculturazione da parte delle famiglie e delle organizzazioni religiose e/o che si sono sviluppate individualmente. Ma è improbabile che la guida ricevuta attraverso l’insegnamento e l’indottrinamento religioso sia direttamente correlata solo ad atteggiamenti e comportamenti alquanto abituali e consolidati. Le ragioni e le motivazioni utilizzate dagli attori sociali sono solitamente di natura molto complessa e mai generate da un’unica matrice. Per quanto riguarda un maggiore impegno socio-religioso, possono intervenire motivazioni articolate e non facilmente definibili, così come influenze non necessariamente di natura religiosa.

La pratica più diffusa e sviluppata sembra essere la preghiera, molto più che la partecipazione a riti e celebrazioni. Naturalmente, ci sono differenze significative tra la preghiera personale, privata e silenziosa e la preghiera pubblica, collettiva e organizzata.

Un altro fenomeno comune è la crescente religiosità, pratica e fede nell’età adulta matura o comunque nei periodi successivi all’età giovanile, confermata dai risultati di molte indagini empiriche. Ma nella maggior parte dei contesti, le differenze a seconda dell’età rimangono le più forti.

Infine, per quanto riguarda l’applicabilità (o le condizioni) della teoria della religione diffusa si associa all’esistenza di un quadro complessivo particolarmente favorevole, attribuibile a ragioni storiche e sociologiche. Di particolare importanza è la presenza di una data religione maggioritaria, prevalente su altre, con un certo effetto di enfatizzazione nazionalistica (di valore identitario simbolico, anche se adattato a situazioni problematiche, che non sono del tutto facilitanti e che possono quindi portare a risultati alquanto differenziati).

Resta evidente che questo tipo di discorso teorico ha un carattere di larga massima e che le eccezioni e le modifiche sono prevedibili e possono essere date per scontate. In altre parole, la casistica delle religioni diffuse dà origine ad un ampio spettro di possibilità empiricamente rilevabili.

Non si dovrebbe eccedere nel fornire dettagli sulle procedure di verifica, ma lasciare il campo aperto a metodi sia quantitativi che qualitativi e misti (quest’ultima soluzione è la più desiderabile, dato il contenuto problematico delle indagini da condurre). La durata dell’applicabilità della teoria stessa è soggetta a limitazioni e aggiustamenti. Ciò vale anche per le dimensioni quantitative e qualitative che non possono essere definite a priori.

  • Conclusione

La formulazione di una teoria sulla religione diffusa ha un carattere molto aperto, in attesa di nuove e stimolanti conoscenze scientifiche, di una cooperazione tra studiosi di fenomenologia religiosa, di ulteriori contributi alla conoscenza della realtà sociale e religiosa, sempre più difficile da leggere, se non si supera la prospettiva tradizionale di un unico ed esclusivo approccio sociologico.

Innanzitutto, i fondamenti della religione diffusa vanno chiariti a partire dalla sua fonte, cioè la socializzazione, e dall’analisi del ruolo chiave dei valori. In seguito, è necessario indagare in modo approfondito e scrupoloso le influenze che le religioni diffuse hanno nel mondo. In un quadro globale, può verificarsi una sovrapposizione tra valori e diritti umani; se presi come tali, i valori possono anche diventare regole normative, una sorta di criteri di validazione.

Una verifica empirica della religione diffusa, analizzando la pratica in diverse religioni del mondo, non è facile. Alcuni tentativi precedenti (Inglehart 1977, 1997; Inglehart, e Norris 2004) sono stati più volte fortemente criticati. Si è quindi scelto un caso emblematico, particolare e specifico: Il cattolicesimo come religione diffusa in Italia, a partire dall’intuizione originaria di qualcosa di rilevante nel rapporto tra religione e politica degli anni ’70 e ’80; i contenuti e le tendenze della situazione italiana possono fornire suggerimenti, linee guida, concetti chiave e prassi consolidate per indagare la religione diffusa anche in altri paesi o aree in cui una religione è dominante. In ogni caso, il focus della religione diffusa è la presenza di valori (e la loro diffusione). In particolare, la teoria della religione diffusa rappresenta una risposta critica alla presunta “religione invisibile” ed all’inevitabilità della secolarizzazione. Per concludere: forse la dimensione più affidabile e non ancora del tutto esplorata della religione diffusa è il continuum della preghiera attraverso i secoli e le religioni, ininterrotto nel tempo e nello spazio, nelle credenze e nelle pratiche.

Bibliografia

Abrutyn 2016: S. Abrutyn (ed.), Handbook of contemporary sociological theory, Cham 2016.

Beckford 2011: J. Beckford, Social theory & religion, Cambridge 2011.

Blumer 1954: H. Blumer, What is wrong with social theory?, “American Sociological Review”19 (1), 1954, pp. 3–10.

Inglehart 1977: R. Inglehart, The silent revolution, Princeton 1977; ed. it.,  La rivoluzione silenziosa, con una nota metodologica di Renato Mannheimer, Milano 1983.

Inglehart 1997: R. Inglehart, Modernization and post-modernization: Cultural, economic and political change in 43 societies, Princeton 1997; ed. it., La società postmoderna. Mutamento, ideologie e valori in 43 paesi, Roma 1998.

Inlehart, Norris 2004: R. Inglehart, P. Norris, Sacred and secular. Religion and politics worldwide, Cambridge 2004; ed. it., Sacro e secolare. Religione e politica nel mondo globalizzato, Bologna 2007.

James 1961: W. James, A study on human understanding. Varieties of religious experience. New York 1961; ed. it., Le varie forme dell’esperienza religiosa. Uno studio sulla natura umana, Brescia 2009.

Merton 1949: R. K. Merton, Social Theory and Social Structure, I, II, III. Glencoe, IL 1949; ed. it., Teoria e struttura sociale, Bologna 2000, 3 volumi.

Royce 1912: J. Royce, The sources of religious insight, New York 1912.

Simmel 1997: G. Simmel, Essays on Religion, New Haven, CT 1997; ed. it., Saggi di sociologia della religione, prefazione e cura di R. Cipriani. Roma 1993.

Termini generali primari

Termini

particolari primari
Termini particolari          secondari
Proposizioni    Argomenti     Applicabilità

                                                          (condizioni)

Cultura come appar-tenen-za

Socializza-zione religiosa

Credenza       Se vi è una religione inziale ci può essere una parteci-pazione ai riti

Dalla religione iniziale derivano credenza, maggiore pratica, maggiore impegno socio-religioso, secondo  le età

Religione di maggioranza o equivalente

Religione    Inculturazio-

ne dei valori (transizione/trasmissio-ne dei valori)

Apparte-nenza o adesione ad una religione

Se non vi è una religione iniziale non può esserci neancheuna parteci-pazione ai riti

La credenza può essere solo ricevuta o ricevuta e sviluppata o solo sviluppata

Applicabilità relativa

Diffusione                                                    Non

rilevanza delle strutture religiose

Nessuna correlazio-ne diretta fra credenza (o non credenza)e atteggia-menti e compor-tamenti

Nazionalismo religioso come simbolo e identità

Terminigenerali primari
Termini primari particolari

Termini secondari particolari

Proposizioni    Argomenti     Applicabilità

                                                          (condizioni)

Religione individuale versus religione istituzionale

La religione diffusa può derivare da una non religione iniziale: come sostituto funzionale di altri riferimenti ideologici

La religione diffusa può derivare da una non religione iniziale: come sostituto funzionale di altri riferimenti ideologici; e può svilupparsi da disincanti ideologici di vario genere

La pratica principale può essere la preghiera indivduale e/o collettiva

Un maggiore impegno socio-religioso, diverso secondo le età, può derivare da motivazioni complesse

Un maggiore impegno socio-religioso, diverso secondo le età, può derivare da influenze non religiose

Adattamento

Possibilità di allargamento

Possibilità di cambiamento

Condizioni generali

Nessun dettaglio su specifiche condizioni

Casistica a largo spettro